L’aver picconato il Reddito di cittadinanza, o meglio averlo abolito per gli “occupabili” dopo un tempo limitato in cui prenderanno un sussidio irrisorio di 350 euro, non è stata una delle idee più felici del governo Meloni. È quanto indirettamente si può ricavare da due rapporti di ricerca dell’Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche) sugli ammortizzatori sociali. Durante la fase pandemica in Italia sono stati più di 6 milioni i beneficiari delle integrazioni salariali, per una spesa di 18 miliardi di euro a cui si sono aggiunti 4 milioni di beneficiari di indennità assistenziali non coperti dal sistema assicurativo con una spesa complessiva di 6 miliardi di euro.
L’aver picconato il Reddito di cittadinanza, o meglio averlo abolito per gli “occupabili”, non è stata una delle idee più felici del governo Meloni
Ma finita la fase di emergenza sanitaria nel nostro Paese l’applicazione dell’universalismo differenziato non è stata corretta, ci dice l’Inapp. Ciò non significa dover applicare uno stesso strumento assicurativo ad aziende con caratteristiche diversificate, come è avvenuto attraverso una maggiore estensione delle integrazioni salariali, ma come sostiene l’Ilo (Organizzazione Internazionale del Lavoro) strutturare un nuovo modello di protezione sociale dei lavoratori su interventi di diversa natura (assicurativi e assistenziali) per rispondere a mercati del lavoro sempre più frammentati e digitalizzati.
Se non si fa questo in Italia rimangono scoperti, in caso di crisi, più di 4 milioni di lavoratori non standard, quelli anziani sopra i 52 anni, i contingenti, gli autonomi individuali, gli inoccupati in cerca di lavoro, i lavoratori delle piattaforme e i working poors. Nel nostro Paese infatti dopo l’emergenza Covid si è realizzata una maggiore estensione delle integrazioni salariali, ma si è persa completamente l’esperienza delle indennità assistenziali.
Nel Paese manca un sistema di protezione realmente universale. Diversamente da altri Stati Ue
In particolare si è proceduto ad una non corretta interpretazione del principio dell’universalismo differenziato che non significa estendere una stessa misura assicurativa a tutte le tipologie di impresa, ma costruire un sistema di protezione della forza lavoro basato su programmi di natura diversificata, tra loro integrati e distinti dagli schemi di reddito minimo. In tal modo in Italia rimane ancora assente un regime di protezione dei lavoratori realmente universale, sempre troppo ancorato a consistenti schemi assicurativi categoriali e ad uno schema di reddito minimo in via di profonda ridefinizione, senza nessun’altra forma di protezione assistenziale nel mercato del lavoro a separare i due programmi.