Quello dell’istruzione sarà un ruolo “cardine, centrale, decisivo” all’interno del Recovery Plan che, non a caso, “prevede per istruzione e ricerca ingenti risorse”. L’onorevole Vittoria Casa, parlamentare M5S e presidente della Commissione Cultura è chiara sul punto: “Senza adeguate risorse sul capitale umano, non esiste futuro possibile”.
Di quanti soldi parliamo?
Alla missione 4, “Istruzione e Ricerca”, sono assegnati 30,88 miliardi di euro, dei quali 19,44 per il potenziamento dei servizi di istruzione dagli asili alle università e 11,44 per la ricerca e i legami con l’impresa. Tuttavia è un numero di base, a crescere, perché nel piano sono previste anche altre risorse complementari. Esistono infatti varie “dimensioni trasversali” del Recovery plan che toccano nel vivo i problemi dell’educazione, dell’istruzione e della formazione, e che contribuiscono a far affluire indirettamente altre risorse. Penso innanzitutto al problema dell’infanzia: l’intervento sulla fascia 0-6 anni sarà consistente, così come quello su povertà educativa e abbandono scolastico. Sono sicura poi che avranno un peso decisivo anche gli investimenti previsti per digitalizzazione, sport, pari opportunità generazionali e di genere, inclusione e coesione.
Perché è fondamentale l’Istruzione Tecnica Superiore?
Basta guardare i dati sull’istruzione terziaria professionalizzante per capirlo. Negli ultimi 6 anni, la percentuale degli occupati sugli iscritti agli Istituti Tecnici Superiori è stata di circa l’80%. Il PNRR prevede investimenti per 1 miliardo e mezzo di euro. L’obiettivo è aumentare del 100% gli iscritti (fino a 18.750) e di raggiungere i 5.250 diplomati all’anno. Nel frattempo, in commissione Cultura stiamo discutendo una riforma che riorganizza tali istituti. Un pezzo importante del futuro del Paese passa per gli ITS.
In Commissione si è raggiunto un accordo anche su un importante testo sull’università. A cosa può portare?
Sì, da poco abbiamo approvato un testo unificato che riguarda il reclutamento e lo stato giuridico di dottori, ricercatori e assegnisti. Anche in questo caso si tratta di dare una scossa a un settore che sarà centrale nel prossimo futuro. Sappiamo che questa parte del mondo universitario è ormai costituita da precari storici. Dobbiamo dare risposte a loro e anche ai tanti giovani che vogliono fare carriera nella ricerca. E per farlo, è necessario rompere la consuetudine tutta italiana dell’accademico che si laurea, fa ricerca e diventa professore nello stesso ateneo. Questo succede solo in Italia ed è fondamentale che l’università volti pagina.
Il Recovery plan prevede importanti fondi nei prossimi 5 anni. Quali sono le sfide che ci attendono?
Mi occupo di scuola da decenni. È ovvio che il PNRR rappresenti davvero molto ma non possa essere l’alfa e l’omega di quello che va fatto nell’ambito dell’istruzione. Direi di più: forse è il contrario, è lo stesso Recovery plan che deve la sua possibile riuscita al successo dei programmi di apprendimento e alla crescita di nuove competenze. Perché senza formazione, senza innovazione, senza transizione culturale, non esistono transizioni verdi e digitali possibili, non esiste inclusione sociale e occupabilità. Oggi scuola, università e ricerca sono la radice di tutto.