E’ sempre più il Recovery plan dei misteri. Tutti ne parlano ma a 10 giorni dalla data di scadenza del 30 aprile – entro cui il piano va mandato a Bruxelles – nessuno sa nulla. Certo il premier Mario Draghi continua a marciare spedito nella sua road map di incontri. Ieri ha visto Iv e FdI, dopo M5S, Lega, Pd e FI, e oggi toccherà a Leu e alle parti sociali. Ma a loro non ha presentato nessuna bozza. E’ quanto lamentano anche sindacati e imprese nel corso delle audizioni sul Documento di economia e finanza.
La Confindustria ammette che “ancora non sappiamo come verranno spese e gestite dalla Pa le risorse europee”. La Cisl sostiene che “se il Piano nazionale di ripresa e resilienza non avesse subito ritardi così gravi, oggi il rapporto tra Def e Pnrr, anziché restare un’incognita, offrirebbe la completezza del Piano strategico del nostro paese”. Senza il Pnrr cui è collegato, il Def è “timido e incolore”, accusa la Uil secondo cui “si sono persi due mesi per lavorare ad un approfondimento”.
E anche per la Cgil non mancano criticità nel rapporto tra Def e Piano, a partire dal “legame poco esplicito sul versante dell’impatto occupazionale e degli interventi di sostegno alla spesa corrente”. Sul fronte europeo si segnala, invece, una particolare inversione di marcia. Nel fine settimana la Reuters (leggi l’articolo) ha fatto sapere che la Commissione europea non sarebbe soddisfatta (“unhappy”) del piano così com’è, ovvero delle bozze presentate finora.
Bruxelles sarebbe preoccupata dalla mancanza di dettagli su come verrà gestito il piano una volta ottenuta l’approvazione dall’Ue e da alcune delle riforme, tra cui quella del sistema giudiziario. Tanto che la presentazione del Recovery plan sarebbe destinata a slittare a metà maggio. Ma Palazzo Chigi ha smentito: “L’Italia presenterà puntualmente” il piano entro la fine del mese. E anche da Bruxelles all’Ansa si sarebbero precipitati a confermare: “La Commissione riceverà diversi piani nazionali entro la scadenza del 30 aprile e il piano italiano sarà tra quelli, anche perché questa è l’intenzione esplicita del governo”.
E ieri forse per fugare qualsiasi altro dubbio la Commissione, tramite il portavoce Eric Mamer, ha specificato che “la qualità del piano conta di più della tempistica”. Ma arrivare in tempo significa anche non perdere il turno nell’assegnazione della prima tranche di fondi a luglio: in ballo per il nostro Paese ci sono ben 27 miliardi. Draghi non vorrebbe perdere il treno e ha fissato per il 26 e il 27 il passaggio alle Camere per illustrare il piano che dovrebbe sbarcare prima in Consiglio dei ministri, ovvero in questa settimana.
Subito dopo si porrà la questione dei decreti di accompagnamento, da quello delle semplificazioni a quello del reclutamento del personale fino a quello della governance. Dovrebbe essere confermata la centralità del Mef e la supervisione politica dovrebbe essere a Palazzo Chigi, con il coinvolgimento di volta in volta dei ministri competenti. Per non scontentare nessuno.