Il patto di non belligeranza siglato al Nazareno tra la segreteria di Elly Schlein e la minoranza interna non c’è più. Il Partito democratico esplode sotto il peso del piano “ReArm Europe”. Un detonatore da 800 miliardi di euro che Ursula von der Leyen ha posizionato nel cuore della politica europea e che ora deflagra nel corpo già stanco del centrosinistra italiano. I prodromi hanno la forma del caos imminente. L’opposizione interna rialza la testa. Gli equilibri si spezzano. Le crepe si allargano.
Pd, un partito spaccato sul riarmo europeo
Elly Schlein prova a imporre una linea: “Questa non è la strada giusta per l’Europa”. Ma la segretaria cammina su un terreno friabile. Da una parte i riformisti, guidati da Lorenzo Guerini e Pina Picierno, che vedono nel piano una necessità storica, la conferma che senza una difesa comune l’Europa resterà un gigante economico con i piedi d’argilla. Dall’altra, l’ala più radicale, quella che si allinea a Giuseppe Conte e alla sua narrazione della “furia bellicista” di Bruxelles.
In Transatlantico le parole si fanno pesanti. Arturo Scotto sbotta: “Siamo in mano a dei pazzi!”. Andrea Orlando attacca: “Questo piano è un abominio, non è l’Europa che vogliamo”. Ma la tensione più alta corre tra Picierno e Orlando. Lei chiede un’Europa “libera e forte”, lui parla di “un’isteria da corsa agli armamenti”. Un partito, due anime inconciliabili.
L’attrito è esploso con la presentazione del piano, che prevede 800 miliardi di investimenti: 650 miliardi finanziati fuori dai parametri del Patto di stabilità e 150 miliardi di prestiti agli Stati. Un salto di qualità nella politica di difesa europea o un’ipoteca sulle finanze pubbliche? Il Pd non sa rispondere e, ancora una volta, si divide.
Il problema è che nel piano von der Leyen non c’è una visione strategica chiara: si parla di facilitazioni alla spesa militare nazionale senza garanzie su progetti comuni, senza una cornice politica unitaria. Per Schlein è inaccettabile: “Abbiamo bisogno di una difesa comune, non di un riarmo nazionale mascherato”. Ma la minoranza riformista non la segue. Guerini ribadisce: “L’Europa o si dota di una forza militare vera, o resta irrilevante”. Picierno raccoglie adesioni attorno alla sua idea di “un’Europa che sappia difendersi”, mentre Orlando e Scotto bollano tutto come “pericoloso e folle”.
Le piazze si moltiplicano. Il 15 marzo si scenderà in strada per l’Europa, ma senza il M5s. Il 5 aprile sarà la volta della manifestazione pentastellata contro il governo, con un focus proprio sugli 800 miliardi per il riarmo. Il Pd si trova nel mezzo, indeciso, incerto, incapace di trovare una posizione unitaria. Schlein promette battaglia al prossimo vertice dei socialisti europei, ma la sua leadership ora è sotto attacco.
Le crepe del Nazareno
Le differenze tra la linea politica della segretaria e i cosiddetti riformisti del partito (Guerini, Gori, Picierno, Alfieri, per citarne alcuni) non riguardano solo la guerra. Le divisioni – percettibili seppure non strumentalizzate – in questi ultimi mesi hanno toccato l’approccio alla guerra in Medio Oriente e al governo israeliano, il referendum sul Jobs Act e l’immancabile veto della minoranza interna su un possibile fronte largo con il M5s.
Finora aveva funzionato il gentlemen’s agreement voluto da Schlein: sì alla pluralità delle opinioni, ma senza l’atavica caccia al piccione nei confronti della segretaria dem. L’intervista del presidente del Copasir ed ex ministro Lorenzo Guerini, per molti, suona come l’invito alla carica. O forse, più semplicemente, il Pd affonda nelle sue contraddizioni. Perché quando il nodo della politica diventa esistenziale, la storia insegna: i dem sanno perdersi per molto meno di 800 miliardi.