di Vittorio Pezzuto
«Letta ha ridato credibilità all’Italia e ha saputo ricostruire un solido sistema di relazioni internazionali, soprattutto in ambito europeo. A un certo punto il suo governo ha però esaurito la capacità di parlare al Paese» sostiene Ermete Realacci, presidente della Commissione Ambiente della Camera e dirigente di primo piano del Pd. «Pur contenendo elementi positivi, i suoi ultimi provvedimenti (Legge di stabilità, Imu-Bankitalia e Destinazione Italia) non sono riusciti a trasmettere alcuna idea di Paese, non hanno indicato con precisione la direzione di marcia. Lo sfarinamento dell’esecutivo era poi evidente: basti pensare che a gestirli in Parlamento sono stati degli ottimi sottosegretari mentre in Aula non si è fatto vedere un solo ministro… Certo, avrei preferito che le cose fossero andate in maniera diversa e che Renzi fosse arrivato al governo dopo un passaggio elettorale. Purtroppo non era possibile fare altrimenti. Tornare al voto con il proprorzionale significherebbe condannarsi a nuove larghe intese».
L’accelerazione al ricambio è stata impressa dal Corriere della Sera con le anticipazioni del libro di Alan Friedman, un chiaro avvertimento allo stesso Capo dello Stato.
«Si è trattato dell’ennesima dimostrazione della subalternità culturale italiana. Quel libro non dice nulla di nuovo, Friedman ha fatto un’operazione alla Bruno Vespa spacciando per clamorosi scoop cose davvero ovvie. Semmai colpisce la patologia del sistema mediatico, che ha sempre bisogno di costruire il nano e la ballerina di turno da sparare in prima pagina. Ricordiamoci che un fenomeno chiaramente inesistente come i Forconi è stato ritratto a suo tempo come un soggetto politico significativo e di massa: quei personaggi urlanti e improbabili servivano solo a scrivere pezzi di colore e a far salire l’audience dei talk-show. Anche se la sofferenza sociale esiste ed è grande ma spesso resta silenziosa».
Se Renzi fallisce, il Pd non avrà più carte di riserva da giocare nei prossimi anni.
«Guardi, la situazione è ancora più grave: in quel caso sarà difficile trovare un’altra carta da giocare per l’Italia tutta. Ovviamente percepisco la critica per le condizioni di questo ricambio che serpeggia tra i militanti del Pd e le persone più vicine alla politica. Ma se ci si allontana da questi gruppi, si scopre per strada un forte sentimento di attesa e di curiosità nei confronti di Matteo. E il tempo che lui sta impiegando nella formazione del governo è dettato più dalla necessità di definire proposte concrete per i 60mila piccoli imprenditori di piazza del Popolo che non dall’urgenza di contrattare i posti in squadra con il Nuovo centrodestra».
Ha promesso una riforma al mese.
«Non credo che pensi davvero di approvarle in così poco tempo ma solo di incardinarle in Parlamento. D’altronde molte buone cose possono essere realizzate senza passaggi legislativi. Penso a quanto è avvenuto con il credito d’imposta nell’edilizia e l’ecobonus: le analisi del Cresme e del servizio studi della Camera confermano che l’anno scorso queste due misure hanno prodotto 19 miliardi di euro in investimenti privati e 280mila posti di lavoro sia diretti che nell’indotto: un risultato molto più importante dell’operazione Imu».
Dovrà comunque misurarsi con una macchina dello Stato ostile al cambiamento.
«La priorità del nuovo governo sarà proprio quella di non dover più soccombere al metabolismo burocratico. La politica deve tornare autorevole e riprendersi il naturale predominio sull’alta dirigenza. Negli ultimi tempi abbiamo invece assistito all’inverso, con centinaia di decreti attuativi spiaggiati sulle scrivanie dei capi di gabinetto. Si era arrivati a un livello di impazzimento intollerabile, come quando sul decreto Destinazione Italia la Ragioneria dello Stato ha dato un parere diverso dal Ministero dell’Economia».
In questo quadro assumono un’importanza fondamentale le riforme costituzionali.
«Assolutamente. La modifica del titolo V della Costituzione, decisa all’epoca dal centrosinistra con soli 4 voti di scarto, fu una vera fesseria dettata da mero tatticismo con l’obiettivo di togliere alla Lega l’argomento del federalismo. Ma ancor più decisiva sarà l’abolizione del bicameralismo perfetto: il Senato va eliminato per migliorare l’efficienza del processo decisionale ma soprattutto perché i cittadini sono in grado di comprendere subito le conseguenze di una riforma del genere. Per questo, a differenza di altri compagni del Pd, ho subito difeso la scelta di Renzi di stipulare con Berlusconi un accordo per riforme condivise».
Anche perché Grillo si è dimostrato impermeabile a qualsiasi tentativo di dialogo.
«Regge soltanto se fa dei monologhi e resta l’unica voce del suo Movimento. In questo modo può continuare a sostenere una cosa e il suo esatto contrario: chi sfasciava i computer può proclamarsi anni dopo profeta della Rete e chi era per il Mattarellum diventa l’apologeta del proporzionale puro. Purtroppo uno come lui sembra incapace di gestire un confronto reale sui singoli temi».