Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi. Scriveva così Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel Gattopardo. E va esattamente così in Rai. Ieri, dopo il solito mercanteggiare e le mille pressioni di forze politiche piccole e grandi, il nuovo amministratore delegato Carlo Fuortes ha presentato la lista dei nuovi direttori dei Tg, quella che esporrà oggi nel Consiglio di Amministrazione fissato a Napoli per la ratifica, e la novità è appunto l’assenza di qualsiasi novità con i soliti intramontabili esponenti del potere di viale Mazzini ancora una volta alla guida dell’informazione, da Monica Maggioni a Mario Orfeo.
Con il forte dubbio che alla fine più che l’AD, come deciso proprio da quest’ultimo alla luce delle tante richieste ricevute e al fine di lasciare ad altri la patata bollente, a decidere sia stato direttamente Palazzo Chigi. Fuortes ha scelto per la direzione del Tg1 Monica Maggioni, ex direttore di Rai News 24, ex presidente della Rai ed ex AD di Rai Com, reduce da un’esperiena tutto meno che brillante con SetteStorie.
Una scelta su cui l’AD ha tentannato a lungo, ma che alla fine è stata fatta in quanto la giornalista sarebbe appoggiata anche dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri, Roberto Garofoli, e dal capo di gabinetto di Mario Draghi, Antonio Funiciello. Al timone del Tg3 ci sarà invece Simona Sala, che dal 2020 dirige Radio1, Radio1 Sport e Gr Parlamento, e a quello del Tg2 resta Gennaro Sangiuliano, per la gioia della Lega e infliggendo l’ennesimo schiaffo a Fratelli d’Italia, senza un consigliere di amministrazione e senza un direttore di Tg, dopo aver puntato su Nicola Rao.
Restano poi Alessandra Di Stefano alla direzione di Raisport e Alessandro Casarin a quella delle testate regionali. Il nuovo direttore di Rainews sarà invece Paolo Petrecca, tanto per dare un contentino a Giorgia Meloni, e Andrea Vianello è stato spostato alla direzione del Gr e Radiouno. Mario Orfeo, infine, andrà alla direzione approfondimento e si occuperà così dei programmi d’informazione come Porta a porta, Report e Presa diretta.
Ex presidente di Rai Way ed ex direttore generale della Rai, molto vicino a Matteo Renzi, Orfeo è sempre in pole position e neppure qualche imbarazzo derivante dalle carte dell’inchiesta sulla Fondazione Open sembra avergli creato difficoltà. In difficoltà invece si trova Giuseppe Carboni e con lui il Movimento 5 Stelle, rimasto senza un referente. Una sorta di manuale Cencelli insomma quello usato da Fuortes, che non è andato però giù ai consiglieri di amministrazione, tanto che hanno paventato un possibile voto contrario nella seduta di oggi.
I curricula sono stati infatti consegnati ieri mattina alle 11.26 ai consiglieri di amministrazione, che due giorni fa avevano chiesto un incontro a Fuortes con cui volevano discutere dei criteri di scelta dei candidati. Sul piede di guerra però pure il sindacato. “Le ricostruzioni di queste ore sulle nomine Rai descrivono un quadro agghiacciante. Ormai, in maniera neanche troppo velata, le nomine verrebbero decise direttamente a Palazzo Chigi”, hanno sostenuto dall’Usigrai.
In una nota, l’esecutivo del sindacato ha poi aggiunto che l’era dei tecnici non può giustificare strappi che rappresentano precedenti gravissimi e preoccupanti: “Prima il CdA a totale controllo governativo e ora addirittura le nomine decise a Palazzo Chigi”. “Se fossero vere queste voci – conclude l’Usigrai – si starebbe trasformando la Rai da radiotv di Servizio Pubblico a radiotv di Stato”.
LE REAZIONI. C’è tensione pure sul fronte politico e ad alzare i toni è comprensibilmente soprattutto Giuseppe Conte (leggi l’articolo). L’ex premier e attuale leader del M5S ha puntato il dito in maniera pesante contro l’AD: “Fuortes non libera la Rai dalla politica ma ha scelto di esautorare una forza politica come il M5s: siamo alla degenerazione del sistema e per questo il M5s non farà più sentire la sua voce sui canali del servizio pubblico”.
Per Conte, l’amministratore delegato aveva il potere di scegliere e ha scelto di sottrarsi al confronto istituzionale. “Nel merito – ha specificato – poi aveva varie possibilità ed ha scelto invece la vecchia logica delle istanze dei partiti politici, scegliendo però di escludere il partito di maggioranza relativa, quello che rappresenta 11 milioni di elettori. Come M5s ci chiediamo che ruolo ha avuto il governo in tutto questo. Questa si chiama lottizzazione”.