di Vittorio Pezzuto
I malevoli la stanno descrivendo come la scissione dell’atomo mentre gli inguaribili ottimisti ricordano che è proprio da questa che origina l’esplosione nucleare. Sta di fatto che la campagna referendaria in corso per il momento serve soprattutto a certificare l’avvenuta divisione – sul piano della strategia politica ma anche su quello dei rapporti personali – consumatasi all’interno del gruppo dirigente radicale. Da un lato il segretario Mario Staderini e il suo fragile stato maggiore che guardano sconsolati a sinistra, constatando gli effetti risibili dell’alleanza a suo tempo siglata con Sel, Psi e Rifondazione comunista sui quesiti che chiedono il divorzio breve, l’abolizione della pena detentiva per fatti di lieve entità in materia di stupefacenti, l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, la possibilità di lasciare allo Stato la quota dell’8 per mille di chi non esercita l’opzione, l’abrogazione del reato di clandestinità e infine la modifica delle norme discriminatorie che comportano la perdita del permesso di soggiorno per quegli immigrati che perdono il lavoro.
Dall’altro Marco Pannella, Maurizio Turco, Sergio D’Elia, Rita Bernardini e Antonella Casu, concentrati invece sulla storica lotta per il ripristino per la legalità nel nostro Paese e promotori dei quesiti sulla giustizia che chiedono la responsabilità civile dei magistrati, l’abolizione dell’ergastolo, la separazione delle carriere dei magistrati inquirenti e di quelli giudicanti, l’eliminazione della custodia cautelare per il rischio di reiterazione nel caso di reati non gravi e la cessazione del fenomeno dei magistrati cosiddetti “fuori ruolo” che sono collocati al vertice dei gabinetti e degli uffici legislativi dei Ministeri. «Dimenticatevi il partito che riusciva a mobilitare migliaia di militanti con i banchetti per le strade e che ogni volta compiva il miracolo di raccogliere più di mezzo milione di firme. Quel partito non esiste più. È già tanto se alla fine raggiungeremo la soglia delle 50mila adesioni. Qui è tutto un casino», ci confida a bocca socchiusa un esponente radicale di lungo corso che chiede espressamente di non essere citato. Perché a questo siamo purtroppo arrivati nella sede di via di Torre Argentina, da sempre luogo della trasparenza: al guardarsi torvo in vista dell’inevitabile redde rationem interno all’indomani del 30 settembre, data di scadenza della campagna. «Non vorrei che alla fine ci toccasse pure dover cantare “Meno che Silvio c’è”» sibila sconfortato un militante pannelliano. Inutile girarci intorno: a fare la differenza in quest’avventura saranno infatti l’adesione di Silvio Berlusconi ai referendum e la conseguente mobilitazione di tutto il Pdl. Con buona pace di chi, lamentandosi che «così diventano i referendum del Cavaliere, non i nostri», non ha capito che l’alternativa sarebbe stata una storica figuraccia e soprattutto la definitiva condanna all’irrilevanza politica. A due settimane dal traguardo persiste intanto il mistero sul numero delle firme fin qui raccolte, e non si tratta di una strategia comunicativa decisa a tavolino. Ma se nel caso dei radicali il dato appare la spia delle difficoltà della macchina organizzativa (rimasta inoperosa per tutto il mese di agosto), per quanto riguarda il Pdl è semplicemente la prova di una mobilitazione troppo recente. «Da alcuni giorni – ci conferma il deputato Gregorio Fontana – abbiamo attivato la rete dei nostri consiglieri comunali e provinciali per la raccolta e l’autentificazione delle firme. In questo week-end allestiremo gazebo nelle principali città italiane. E invitiamo i cittadini a recarsi al più presto nelle segreterie di tutti i Comuni. Che dire? Non siamo ottimisti né pessimisti ma preoccupati e impegnati. Il tempo rimasto è davvero poco».