di Gaetano Pedullà
La prima fiducia a Enrico Letta è passata (perdendosi un po’ di voti per strada) e anche oggi il Paese ha un governo. Il Quirinale è contento. Bruxelles pure. Ma se un governo è il mezzo per guidare l’Italia e non un fine in se stesso, allora c’è poco da rallegrarsi. Pure ieri le borse sono scese pesanti, avvisando che sta per abbattersi un altro ciclone sui mercati finanziari. Sul versante della crisi i segnali sono sempre più allarmanti. Non c’è lavoro, non c’è credito, non c’è ottimismo sul futuro. Il governo c’è, ma partorisce topolini, come il decreto fare (del quale al di là degli annunci non c’è ancora uno straccio di testo) o il decreto emergenze approvato ieri: pannicelli caldi per fermare un’epidemia. Senza questo governo – pur debole – sarebbe peggio, dicono i partiti. Ma peggio per chi? Per chi non ha lavoro e di questo passo non lo troverà mai? Per lo spread che è tornato in area 300 punti (mangiandosi immensi sacrifici e mettendo la parola fine allo stop per l’aumento dell’Iva)? Per i mercati finanziari che larghe intese o no stanno tornando a speculare sui paesi periferici di un’Europa ancora una volta inerme? Avere un governo – anche fragile – ma che sia un governo, non serve a niente se questo non può fare il diavolo a quattro per rispondere con misure straordinarie a una situazione straordinaria. Qui è in ballo la sopravvivenza di milioni di persone e invece si sta col fiato sospeso in attesa che i giudici decidano su Berlusconi, che la fame trasformata in indignazione elettorale non muti di nuovo forma in gesti di disperazione, o più semplicemente che cada la manna dal cielo. Dunque adesso o Letta batte i pugni con l’Europa e per l’Europa, crea uno shock e investe subito miliardi di euro nell’economia – senza curarsi di Merkel e banchieri – oppure faremo la fine della Grecia. Hanno tenuto per mesi un governo qualunque che adesso è arrivato al capolinea. Ma la situazione ad Atene non è affatto cambiata.