Il Corriere della Sera del 25 giugno titola quasi a tutta pagina “Malati vicini ai 10 milioni”, su dati della John Hopkins University, e ci si fa subito un’idea di qualcosa di vigente oggi, e di battaglioni di persone col Covid allettate con sgomento in centinaia di ospedali, oggi. Ma all’interno, una cartina del mondo chiarisce che di queste sono “guarite” in 4 milioni e 661mila e morte 478mila circa.
Andando su Worldometer, notissimo e consultatissimo aggregatore di dati, di 24 ore dopo, tutto si chiarisce meglio: di questi quasi 10 milioni di casi, quelli closed, chiusi, che hanno avuto un outcome, un esito di successo, sarebbero quasi 5 milioni e 800mila, e di questi, 5 milioni e 300mila circa considerati recovered o discharged, cioè recuperati alla salute, diremmo, o completamente dimessi. Casi “attivi”, circa 4 milioni e di questi il 99% – badate bene – in mild condition, cioè con disturbi lievi. A livello mondiale, poco più di 57mila i serious or critical, ovvero in intensiva.
Ora, letti così i dati, in tutta sincerità, fanno paura come i 10 milioni sparati bavosamente dal Corriere? Siamo in piena psicosi. Parola che, senza alcun specifico riferimento alle cateratte del Televisivo e agli affollamenti del Web, eppur profetico, così Umberto Galimberti definisce nel suo Dizionario di Psicologia (Utet, pagg. 1024, euro 105) : “Una perdita più o meno totale della capacità di comprendere il significato della realtà in cui si vive e di mantenere tra sé e la realtà un rapporto di sintonia sufficiente a consentire un comportamento autonomo e responsabile nell’ambito culturale in cui si vive”.
Sempre nell’ambito della trattazione dello stesso lemma, il filosofo ne chiarisce il quadro sintomatico. E anche qui, curiosamente e senza toccare materie mediologiche, sottolinea che una caratteristica della psicosi è la “difficoltà a selezionare i propri pensieri, a controllare la propria immaginazione e i propri sentimenti che ora sembrano assenti e ora eccessivi per ipertrofia dell’affettività”; un’altra ancora sarebbe la “riduzione o smarrimento della distinzione tra appartenenza ed estraneità per cui vengono meno i confini tra il proprio corpo e il mondo esterno, così come l’inviolabilità dei propri pensieri, della propria immaginazione, dei propri sentimenti, separati da quelli degli altri”.
Possiamo dire, allora, che la Miniera Mediatica è intrinsecamente una macchina psicotica, poiché spinge a pericolose sinestesie gregarie da cui è difficile divincolarsi, fino al punto da far desistere qualsiasi impulso alla dissociazione creativa rispetto ai condizionamenti in atto. Covid, panico, potere e fosforescenze televisive e internettistiche sono quel tutt’uno che ha impedito salti qualitativi della nostra libertà noetica e volitiva.