Il ricorso alle querele temerarie da parte della politica non è di certo nuovo ma negli ultimi tempi sta aumentando a dismisura. Tomaso Montanari, rettore dell’Università per gli Stranieri di Siena, come si spiega questo rapporto storicamente complicato tra politici e giornalisti?
“Guardi in Italia esiste un problema di controllo del giornalismo di cui si parla poco. La concentrazione delle proprietà, spesso legata a interessi politici, fa si che i pochi giornali veramente liberi siano vissuti dal potere come una minaccia estremamente pericolosa. A conti fatti si arriva alla querela quando il potere non riesce a comprare un giornale o un intero gruppo editoriale. Del resto oggigiorno siamo in presenza di una politica debole, senza né idee e né progetti ma nemmeno la necessaria legittimazione popolare, che ha paura di tutto e quindi non fa altro che imbavagliare il dissenso e limitare l’accesso dei cittadini e delle cittadine alla verità, ai dati di fatto e alle inchieste. Un ribaltamento in cui invece di favorire la critica dei cittadini al potere, si permette al potere di attaccare i singoli cittadini che osano prendere la parola. È la perversione della democrazia se non addirittura la sua fine. E aggiungo che mi sembra evidente l’esistenza di un progetto di controllo della verità e dei fatti”.
In tutto ciò, come si colloca lo strumento della querela?
“In questo quadro la querela è l’esponente massimo di una strategia di controllo che, tra l’altro, non riguarda soltanto il giornalismo. Qualcosa di simile si è già visto con la criminalizzazione dei pacifisti che non hanno nessun potere reale ma vengono trattati come dei sabotatori della patria. Ci tengo a ribadirlo perché deve essere chiaro una volta per tutte: questa è una politica fragile e insicura che sa benissimo di essere compromessa e che per questo reagisce attaccando in un modo che nessun politico della Prima Repubblica si sarebbe mai sognato di fare. Questo perché all’epoca esisteva un rispetto per la stampa che è andato perduto e anche perché i politici si guardavano bene dal querelare un giornalista in quanto farlo equivaleva a riconoscere, sia a lui che alla stampa, un’eccessiva importanza. Oggi tutto ciò non esiste più e il controllo della comunicazione a cui stiamo assistendo è chiaro che mira a spegnere ogni forma di dissenso”.
Quanto pesa sulla libertà di stampa la possibilità di ricorrere, quasi impunemente, alle querele temerarie?
“Ovviamente ha un peso enorme perché costringe i pochi giornali liberi ad accantonare moltissimi soldi per i possibili esiti dei processi. Non meno importante è l’effetto devastante sulle vite personali dei giornalisti che sono costretti ad andare a farsi riconoscere nei commissariati come un criminale qualunque. In questo vedo un evidente tentativo di delegittimazione della categoria di cui io stesso sono stato testimone visto che mi sono trovato sotto processo, poi successivamente assolto, nella stessa aula in cui poco prima erano stati processati i Casamonica. È una forma di disprezzo delle libertà costituzionali e al contempo una forma di pressione spaventosa. Poi aggiungiamo a tutto ciò anche il precariato dei giornalisti, un fenomeno grave e di cui si parla pochissimo, che si capisce come sono tanti i motivi per i quali la libertà di stampa in Italia è fortemente a rischio”.
Sta facendo scalpore la notizia del principe Harry che ha perso la causa contro il Mail on Sunday e dovrà pagare 50mila sterline in quanto le sue accuse di diffamazione non sono state provate. Norme alla mano, un caso del genere potrebbe verificarsi anche in Italia?
“Bisognerebbe fare una legge. La si chiede da tanto tempo ma non è mai stata fatta”.
Come mai?
“Perché le maggioranze politiche, di qualunque colore, hanno sempre evitato l’argomento. Questo perché la politica, intendo nel suo complesso, è ben felice di poter controllare la stampa”.
Da tempo si parla di eliminare il carcere per i giornalisti e questo governo sembra disposto a farlo. In contemporanea l’esecutivo intende anche aumentare le sanzioni nei confronti dei giornalisti che passerebbero da 10mila a 50mila euro. Che ne pensa?
“Chiaramente non va bene. Questo perché la vera arma è quella economica in quanto è molto raro essere condannati penalmente e quando succede è una medaglia al valore. Mettere l’accento sui risarcimenti in denaro è veramente il modo per far finire il giornalismo libero e quindi è a tutti gli effetti un attacco diretto al cuore della democrazia”.
Con il disegno di legge Balboni, Fratelli d’Italia sostiene di aver messo fine allo “sconfinamento del diritto di cronaca”.
Ma a conti fatti non crede che, se approvato, finirà per mettere una pietra tombale sulla libertà di stampa perché tanti giornalisti, per non correre rischi, preferiranno auto censurarsi?
“Non è un argine ma un bavaglio o, se preferisce, una museruola. Tra l’altro è assurdo che sia il potere a decidere in cosa consiste lo sconfinamento del diritto di cronaca in quanto dovrebbe accadere l’esatto opposto, ossia dovrebbe essere il giornalismo a decidere quando ci sono degli sconfinamenti e degli abusi da parte del potere. Poi faccio presente che in questa proposta non si parla soltanto di diritto di cronaca ma anche di opinioni perché si viene querelati anche per queste. Mi sembra evidente che siamo davanti a un passo indietro ed è gravissimo ma da Fratelli d’Italia, un partito con una radice neofascista, non mi aspetto altro perché non sopporta la divisione dei poteri”.