Un edicolante che ha i guanti e la mascherina, per prendere i soldi dei miei giornali e darmi 10 centesimi di resto, utilizza come scudo protettivo la copertina rigida di una rivista per non toccarmi. Un mio amico cardiologo si è rifiutato di ritirare un divano che voleva comprare perché il venditore gli aveva chiesto tassativamente carta di credito e non cash – noto vettore di malattie mortali. Per andarmi a tagliare la prima volta dopo mesi i capelli cresciuti alla stregua dei galli di Asterix, ho dovuto indossare salva-scarpe trasparenti come se stessi sulla scena di uno dei delitti del mostro di Firenze, seguire delle piste adesive che dividevano il pavimento in due, indossare mascherina, sciacquarmi le mani con uno spruzzino gelatinoso, vedere deterse forbici e lame in continuazione, avere a fianco a me non un coiffeur ma una via di mezzo fra una mummia egizia, un apicultore e il dottor Kildare.
Questioni di Covid, che tutti sappiamo. E allora è molto interessante la spiegazione che della “paranoia” – termine abusatissimo nel linguaggio ordinario – dà David Cooper, uno dei pionieri dell’anti-psichiatria, in La morte della famiglia (Einaudi, pagg. 145, euro 11) quando precisa che partiamo tutti da un livello di eknoia, ovvero di “individuo normale come fuori di sé”, inconsapevole del proprio corpo e delle proprie reali volontà in quanto “oggetto d’ispezione da parte di altri nel mondo”, ovvero costantemente sollecitato e addomesticato dal Sistema in cui occupa pure una posizione di winner e di ricompensata integrazione; la paranoia, sarebbe proprio la posizione di scudiscio del sé, potremmo dire, “uno stato di buon vicinato con il proprio io che può diventare affetto… l’inizio dell’esistenza attiva, con possibilità di vita per nuovi progetti”.
Se non si ricade nello strato inferiore, dice Cooper, e non ci si impiglia solo in fantasie persecutorie, allora si arriverà a cogliere la vera violenza di ciò che ci vogliono far dire, far pensare, far agire, lontano da chi siamo per davvero. è nella paranoia costruttiva che “l’individuo incoraggia il proprio io, gli mette un cuore nuovo inventandolo e non con un trapianto”. è in questo limbo evolutivo che possiamo vedere nell’altro un oltraggio al nostro essere precipitando nei dualismi sanciti dallo status quo dominante, o un piano di appoggio e di rivolta per sollevare la libertà di tutti, un self-help ma trasversale e realmente consociativo. Ecco che si arriva all’ennoia, all’“affacciarsi generosamente nel mondo” di un ego che non ha più la camicia di forza di tradizioni e sussieghi estranei, ma anzi sviluppa appieno la trascendenza io-mondo e si preclude, finalmente “l’autopreformazione” con l’antinoia, la sua massima qualità antinomica-non-automatica, direi io, dunque libera a pieno titolo. Quanto tasso di Tele-Covid trovate in queste immarcescibili intuizioni filosofiche?