di Martino Villosio
Non solo il malessere di Carabinieri e finanzieri per gli stipendi al palo, non solo le voci critiche che si sgusciano fuori dalla pancia dell’esercito di fronte all’ennesimo caduto in Afghanistan. C’è un altro spicchio delle Forze Armate italiane che è da mesi in subbuglio, mastica rabbia mista ad angoscia.
Sono 800 i militari in servizio permanente e 400 i richiamati in servizio presso il Corpo Militare Ausiliario della Croce Rossa Italiana. Un personale che custodisce tra i suoi ranghi autentici professionisti dell’emergenza, con alle spalle missioni nei Balcani e in Medio Oriente, da sommare ai 4000 civili tra precari e assunti a tempo indeterminato che formano l’organico della CRI, per il resto alimentato dai volontari.
Il decreto legislativo del 28 settembre 2012, che ha avviato il processo di riforma della Croce Rossa da ente pubblico in associazione privata, disegna scenari tutt’altro che promettenti per questi lavoratori, che rischiano di scontare sulla propria pelle il peso degli errori gestionali del passato.
Lo spacchettamento
Dal primo gennaio 2014 la Croce Rossa Italiana si sdoppierà provvisoriamente in due entità distinte: da una parte l’Associazione di volontari, dall’altra un “Ente strumentale” destinato a rimanere in vita soltanto fino al 31 dicembre 2015. In quest’ultimo, che avrà a carico gli stipendi del personale dipendente, confluirà anche lo straordinario patrimonio immobiliare da dismettere per far fronte all’enorme debito accumulato nonostante la staffetta di commissari straordinari nominati negli anni dai vari governi del Paese.
Mentre i precari si preparano ad essere falciati via nel processo di transizione, a tremare sono anche i militari e civili della CRI con contratto a tempo indeterminato.
Entro 90 giorni dal primo gennaio 2014, recita il decreto legislativo, la nuova Croce Rossa dovrà definire il proprio fabbisogno di personale. Dopodiché, i lavoratori saranno messi di fronte ad una scelta: o accettare l’assunzione nell’Associazione privata (ma non è affatto certo che ci sarà posto per tutti), oppure restare in carico all’Ente fino alla sua natura estinzione, per poi essere collocati in mobilità.
I trecento salvati
Per i militari che, collocati in congedo dopo lo scioglimento del Corpo Militare Ausiliario, saranno assorbiti nel personale civile della nuova associazione lo stipendio calerà del 20 per cento. Il decreto legislativo ha però previsto l’adozione di un bando, per la selezione di una ristretta pattuglia (300 militari) che rimarrà in servizio e dovrà garantire le funzioni ausiliarie di supporto delle Forze Armate. La battaglia per rientrare tra i “salvati” si preannuncia durissima. “Ma queste trecento persone, per quanto emerge dal decreto, saranno sicure del posto solo per i successivi due anni”, spiega Luca Comellini, segretario del Partito per la Tutela dei Militari. “Ho il timore che il loro futuro si concluderà di fronte all’ufficio di collocamento”.