di Vittorio Pezzuto
Più che occasione lieta per riaffermare la riconciliazione nazionale, la ricorrenza del 25 aprile è un pendolo arrugginito dalle polemiche che oscilla tra l’indifferenza delle nuove generazioni (che tutto danno per scontato, libertà inclusa) e l’intolleranza di minoranze in permanente belligeranza contro l’avversario politico. Strano e sfortunato Paese il nostro, che celebra ogni anno l’anniversario della Liberazione per scoprire ogni volta di essere ancora imprigionato in vecchi schemi, diviso da antichi rancori. Nel giorno che ricorda la vittoria della democrazia sulla barbarie della dittatura, stride così il tristissimo ossimoro di quanti interpretano questa festa civile come occasione per liberarsi con le spicce della presenza in piazza di rappresentanti delle istituzioni di centrodestra. E’ già accaduto nel 2006 quando migliaia di fischi e di insulti hanno impedito al sindaco di Milano Letizia Moratti di continuare a sfilare insieme ai reduci della brigata ebraica. E lo stesso spettacolo squadrista è stato inscenato quattro anni dopo a Roma, con la governatrice del Lazio Renata Polverini costretta a lasciare il palco a Porta San Paolo perché bersagliata da lanci di uova, frutta e di alcuni fumogeni.
La fatwa dell’Anpi
Lo stesso potrebbe accadere anche oggi nella capitale, se il sindaco Gianni Alemanno non vorrà cedere alla fatwa democratica che gli ha scagliato contro il presidente dell’Anpi Francesco Polcaro: «Non vedo motivo per cui chi ha fatto certi tipi di scelte debba venire alla celebrazione della liberazione dell’Italia dalla dittatura fascista e nazista» ha spiegato giorni or sono, impalcandosi a distributore ufficiale dei passaporti per la piazza. Anche stavolta saremo quindi costretti alla lettura di un circostanziato bollettino di giornata con le prodezze di quanti usano il 25 aprile per giustificare la propria esistenza, nutrendosi di un nemico al quale poter urlare epiteti che poco hanno da invidiare al tradizionale linguaggio fascista? Probabile, con buona pace del presidente Giorgio Napolitano e dei suoi accorati, ripetuti appelli alla concordia nazionale.
Ed è fin troppo facile immaginare per oggi l’ennesimo post violento di Beppe Grillo così come la fibrillazione chiassosa di una piazza di sinistra che vorrà regolare i conti con i suoi rappresentanti, colpevoli dell’inciucio con l’odiato Berlusconi. «Spero proprio che non succeda» sospira la deputata renziana Simona Bonafè. «E’ una festa che fonda la nostra Repubblica, andrebbe vissuta nel segno dell’unità e della condivisione. Trovo assurdo che a sinistra qualcuno possa addirittura usarla per contestare esponenti del Pd. Il nostro partito non se lo può permettere, anche se avverto un certo smarrimento nel nostro elettorato». Concorda il senatore montiano Benedetto Della Vedova: «La storia della nostra Repubblica è breve ma sufficientemente lunga da distinguere il netto giudizio storico sulle vicende di allora da quello sulla cronaca politica attuale. Si può insomma tranquillamente convenire su una celebrazione non retorica della Liberazione, senza strumentalizzarla per ragioni di bottega. Il modo migliore per onorare quel passaggio è riconoscere che la Repubblica è di tutti, nessuno escluso».
La continuità con il fascismo
Diversa è la lettura che ci offre il segretario dei Radicali Mario Staderini: «Il mantenimento delle divisioni sul passato aiuta a nascondere l’unione delle classi dirigenti nella responsabilità del successivo e perdurante sfascio delle istituzioni. E’ però indubbio che nel 2013 la liberazione di cui il Paese ha bisogno è quella dal sistema partitocratico, che giudichiamo una naturale continuazione del regime fascista. In questi ultimi decenni ha trasformato l’Italia nel modello di uno Stato nazionale che, sia pure senza violenza, si ostina a negare i diritti umani a chi vive sul suo territorio. Provocando a livello popolare la reazione, rozza e rabbiosa al tempo stesso, dell’antipolitica. Per questo che lo scorso anno organizzammo una grande marcia per l’amnistia, la giustizia e la libertà. Una lotta che insieme a Marco Pannella oggi rilanciamo con una mobilitazione nonviolenta di cinque giorni perché si interrompa la flagranza criminale del nostro Stato».
Il senatore del Pdl Carlo Giovanardi spiega invece di aver partecipato più volte alle manifestazioni ufficiali che celebrano questa data storica. «Eppure so benissimo che non tutti quelli che allora combattevano i nazifascisti lo facevano per conquistare la libertà e la democrazia ma anzi per far arrivare in Italia un nuovo totalitarismo, quello comunista. Oggi il nemico da combattere è la drammatica crisi economica e ci sono momenti nei quali l’emergenza o la mancanza di numeri in Parlamento determinano la necessità di un impegno comune. Chi pensa di fare caciara, contestare o comunque usare questa ricorrenza come segno di divisione non fa che tradire il significato più profondo e autentico del 25 aprile».