Sì o no? Ieri il 31% degli aventi diritto si sono trovati davanti a questa scelta. Una scelta che di fatto a poco è servita dato che, comunque la si veda, alla fine il referendum è stato nullo, non avendo raggiunto il fatidico quorum. A prescindere da questo, però, una valanga delle fatidiche matite copiative intanto è arrivata nei seggi di tutta Italia per consentire a tutti di poter esprimere la propria personale preferenza. E così, a conti fatti, abbiamo speso soltanto per fornire i seggi di matite copiative con tanto di “dicitura” specifica, la bellezza di 123.500 euro. A rivelarlo è l’esito di una gara indetta nei giorni scorsi dal Viminale. Un documento che, peraltro, fa il paio con altre aggiudicazioni strettamente connesse alla tornata elettorale.
Scartabellando tra i documenti reperibili sul sito del Viminale, infatti, ecco che scopriamo che per la manutenzione degli apparati hardware del Ced elettorale, abbiamo speso altri 66mila euro. Basta così? Niente affatto. Il Ced (Centro Elaborazione Dati) elettorale aveva bisogno anche di un “servizio di supporto specialistico sui software” in dotazione allo stesso Ced. Ed ecco allora un’altra spesa, questa di 90 mila euro.
Certo, si dirà: sono i costi ordinari della democrazia. Tutto vero. Ma forse sapere che abbiamo speso solo di matite 123mila euro, avrebbe spinto qualcun altro a informarsi e andare a votare. Se non per la bontà (più o meno discutibile) del quesito referendario, almeno per non buttare via soldi. E matite.
Senza parlare del fatto che si sarebbe potuto fare un election day direttamente a giugno. Un dettaglio che ci è costato 300 milioni.