All’età di 91 anni è morto lo storico dirigente della sinistra italiana, e prima ancora partigiano, Alfredo Reichlin. Era entrato nel cuore dell’orizzonte della sinistra italiana, prima come allievo di Palmiro Togliatti, poi come membro della direzione del Pci, e ancora parlamentare e fondatore del Pd, verso cui però, specie nell’ultimo periodo, si era definitivamente allontanato.
Reichlin era nato il 26 maggio 1925 a Barletta. Anche nella vita privata, la passione politica è stata sempre forte. Non a caso è stato marito di Luciana Castellina, fondatrice del Manifesto, con la quale ha avuto i due figli Lucrezia e Pietro (entrambi economisti); e poi con Roberta Carlotto, dirigente Rai e poi di alcuni teatri stabili. Personaggio eminente della sinistra italiana, Alfredo Reichlin una settimana fa su Nuova Atlantide, community on line che si occupa di politica e cultura, aveva scritto il suo ultimo articolo: “Non lasciamo la sinistra sotto le macerie”.
“Sono afflitto – scriveva l’ex direttore dell’Unità e membro della direzione del Pci – da mesi da una malattia che mi rende faticoso perfino scrivere queste righe”. “Mi sento – aveva aggiunto – di dover dire che è necessario un vero e proprio cambio di passo per la sinistra e per l’intero campo democratico. Se non lo faremo non saremo credibili nell’indicare una strada nuova al paese”.
“Anch’io avverto il rischio di Weimar – aveva ammesso tra l’altro – Ma non do la colpa alla legge elettorale, né cerco la soluzione nell’ennesima ingegneria istituzionale: è ora di liberarsi dalle gabbie ideologiche della cosiddetta seconda Repubblica. Crisi sociale e crisi democratica si alimentano a vicenda e sono le fratture profonde nella società italiana a delegittimare le istituzioni rappresentative. Per spezzare questa spirale perversa occorre generare un nuovo equilibrio tra costituzione e popolo, tra etica ed economia, tra capacità diffuse e competitività del sistema”. Da qui, insomma, “la sinistra rischia di restare sotto le macerie. Non possiamo consentirlo. Non si tratta di un interesse di parte ma della tenuta del sistema democratico e della possibilità che questo resti aperto, agibile dalle nuove generazioni”.
La vita – Ancora minorenne, Reichlin si trasferì dalla Puglia a Roma dove tempo dopo partecipò alla Resistenza partigiana tra le Brigate Garibaldi. Già nel 1946 si iscrisse al Partito Comunista Italiano, di cui fu uno dei dirigenti più importanti per circa trent’anni. Fu vicesegretario della Federazione Giovanile Comunista Italiana e nel 1955 entrò a l’Unità, di cui dopo un anno diventò vice-direttore.
Le opere – Promosso a direttore nel 1958, negli anni Sessanta si avvicina alle posizioni di Pietro Ingrao, le più a sinistra nel partito. Da segretario regionale del Pci in Puglia fu molto attento alla questione meridionale, alla quale dedicò anche le sue opere Dieci anni di politica meridionale. 1963-1973 (1974) e Classi dirigenti e programmazione in Puglia (1976). Tra gli altri suoi scritti, Una nuova frontiera per lo sviluppo. Il Pci e l’imprenditoria diffusa (1985), Italia e Europa. La sfida dell’unione (1996), Note sul decennio. La sinistra e la crisi della nazione italiana (2000), Il silenzio dei comunisti, con Vittorio Foa e Miriam Mafai (2002), Ieri e domani. Memoria e futuro della sinistra (2002), Riformismo e capitalismo globale. A nuove domande nuove risposte, con Giorgio Ruffolo (2003), Il midollo del leone. Riflessioni sulla crisi della politica (2010).
Deputato nazionale fin dal 1968, durante gli anni Settanta entrò nella direzione nazionale del partito e collaborò gomito a gomito con Enrico Berlinguer. Successivamente fu favorevole alle trasformazioni del partito da Pci in Pds prima, da Pds in Ds poi ed infine da Ds in Pd.