Dopo tre anni di sanguinoso conflitto e con ben poche possibilità di una tregua a breve termine, ci si chiede a chi giovi continuare la guerra in Ucraina. Si tratta di una domanda di difficile risposta perché, durante un conflitto, a fare la differenza, ben più delle armi, è la propaganda. Così capita che, mentre Volodymyr Zelensky propone il suo “piano di vittoria” – scatenando la diffidenza dei leader di Usa e Ue, e l’Occidente continua a dibattere su ulteriori forniture di armi – sia Vladimir Putin a travestirsi da pacifista, sostenendo (senza che le sue affermazioni possano essere verificate) che, quando la Russia ha accettato di prendere in considerazione iniziative negoziali sul conflitto in Ucraina, Kiev le abbia puntualmente rifiutate.
Secondo il leader russo: “Quando abbiamo accettato, si è scoperto che la parte ucraina aveva già rifiutato. È successo due volte”. Lo zar ha poi spiegato che, nonostante questi dinieghi, il Cremlino continua a voler aprire un negoziato che porti a “compromessi ragionevoli” il cui “esito dovrebbe essere a favore della Russia, lo dico francamente, senza essere timido, poiché devo procedere dalle realtà sul campo di battaglia. Senza dubbio, non faremo concessioni, non ci saranno scambi”. Successivamente, Putin ha polemicamente schernito l’Occidente che “ieri diceva che alla Russia doveva essere inflitta una sconfitta strategica, mentre oggi la retorica è profondamente cambiata. Lo vediamo, e devono essere elogiati per questo, per il fatto che cominciano a pensare e a valutare la situazione sul campo di battaglia in modo realistico”.
Putin apre alla pace e sbugiarda Zelensky: “Per due volte la Russia ha accettato di negoziare ma Kiev si è sempre rifiutata”
Che quelle dello zar siano reali aperture alla pace è tutto da dimostrare. Tuttavia, si nota come Mosca sia l’unica parte in causa a definirsi “aperta a negoziare”, una posizione che potrebbe – e dovrebbe – essere sfruttata dall’Unione Europea per proporsi come forza mediatrice, al fine di verificare se si tratti di un bluff o meno. Invece, niente: Bruxelles sembra preferire posizioni muscolari che di certo non avvicinano la fine delle ostilità.
Come spiegato dalla presidente dell’Europarlamento, Roberta Metsola, l’Europa non deve vacillare nel suo sostegno a Zelensky e deve rimanere ferma nell’impegno per costruire un’Unione di sicurezza e difesa: “Siamo saldamente dalla parte dell’Ucraina non solo per carità cristiana, ma perché comprendiamo che non si tratta solo dell’Ucraina. Si tratta dell’Europa. Del nostro stile di vita. Della tenuta dell’ordine internazionale basato sulle regole”. Quel che è peggio è che, mentre la Russia dilaga nel Donbass, i Paesi dell’Europa dell’Est – capofila della linea bellicista – continuano a chiedere agli alleati di fare di più.
Nel corso di un’intervista alla Cnn, il ministro degli Esteri lituano, Gabrielius Landsbergis, ha addirittura alzato l’asticella del supporto a Kiev affermando: “Non possiamo lasciare che l’Ucraina perda. Tutti gli strumenti che possono aiutare l’Ucraina a vincere devono essere utilizzati: il dispiegamento di truppe in Ucraina è uno di essi”. Il ministro della Lituania ha sottolineato che l’idea, proposta a inizio anno dal presidente francese Emmanuel Macron, dovrebbe essere rispolverata, soprattutto ora che l’Ucraina arranca e la Corea del Nord di Kim Jong-un è corsa in soccorso di Putin.
“A suo tempo, l’opzione aveva causato nervosismo in molte capitali europee, compresa Mosca. E questo dimostra che stavamo andando nella giusta direzione”, ha concluso il politico lituano. Di tutt’altro avviso, invece, è il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, che ha ribadito che la Germania non fornirà all’Ucraina “armi che possano contribuire a un’escalation” e tantomeno prenderà in considerazione l’ipotesi di inviare truppe sul campo. Il leader di Berlino, diversamente da altri colleghi europei e dimostrando quanto l’Ue sia più divisa di quanto si pensi, si è detto “molto scettico riguardo alle attuali discussioni sull’attacco di obiettivi in Russia con armi provenienti dagli Stati Uniti e dall’Europa”, ribadendo che “la mia responsabilità è prevenire una grande guerra tra Russia e Nato”.