di Alessandro Righi
Scene del genere, forse, si sono visti sono nei grandi film d’azione girati a Hollywood. E invece no. Questa volta è tutto vero. Siamo a Lecce, nel reparto di Cardiologia dell’Ospedale “Vito Fazzi”. Lì è piantonato il detenuto Fabio Perrone, condannato all’ergastolo per l’omicidio del 45enne slavo Fatmir Makovic e il tentato omicidio del figlio sedicenne durante una sparatoria avvenuta la notte tra il 28 e il 29 marzo dello scorso anno a Trepuzzi (Lecce). Perrone, però, è ruscito a fuggire dal nosocomio, ferendo alla gamba l’agente del posto fisso di polizia in servizio all’ospedale (altri due feriti sono lievi) e bloccando poi una donna alla guida di un’auto, una Toyota Yaris, riuscendo a dileguarsi su questo mezzo.
Ovviamente la domanda che tutti si sono fatti nelle ore immediate all’evasione è come avrebbe fatto Perrone a fuggire. Secondo la ricostruzione, il detenuto doveva essere sottoposto a una colonscopia. Scortato dai due agenti di polizia penitenziaria è salito al terzo piano dell’ospedale e quando le guardie gli hanno sfilato le manette, Perrone avrebbe sfilato la pistola dalla fondina di uno dei due agenti e ha cominciato a sparare. Poi ha raggiunto l’area di parcheggio e ha rubato un’auto alla cui guida si trovava una donna. Si è quindi allontanato sfondando le sbarre che si trovano all’ingresso della struttura ospedaliera.
Le forze dell’ordine, intanto, hanno subito attivato le ricerche: è in funzione un elicottero della Guardia di Finanza e sono stati attivati posti di blocco in tutto il Salento. Ad essere setacciato è soprattutto il litorale a nord di Lecce, zona che in passato è stata frequentata dall’evaso. In queste ore vengono interrogate in questura tutte le persone presenti al momento dell’evasione. Sono stati ascoltati anche le due persone rimaste ferite in modo lieve con colpi di pistola: un visitatore e una guardia penitenziaria. Quest’ultima è ricoverata in ospedale dove è stata operata perché raggiunta da un colpo di pistola (con foro di entrata e di uscita) nella parte posteriore della coscia destra. Gli investigatori sono coordinati dal procuratore aggiunto antimafia Antonio De Donno.
Perrone è ritenuto esponente di spicco della criminalità. Al momento dell’arresto era ancora in possesso della pistola di fabbricazione serba con la quale aveva esploso numerosi proiettili calibro 9 x 21, svuotando l’intero caricatore, nella sanguinosa sparatoria avvenuta all’interno del “Gold bar music restaurant”, per cui era stato poi arrestato. La condanna al carcere a vita nei confronti di Perrone, accusato di omicidio volontario aggravato per futili motivi, è stata pronunciata dal giudice Simona Panzera nel corso dell’udienza del 23 giugno scorso. L’omicida, infatti, secondo la sua stessa versione, avrebbe sparato dopo un litigio avvenuto all’interno del locale con alcuni slavi, tutti residenti nel campo rom di Lecce.