di Valeria Di Corrado
Il governo fa una legge, il governo successivo la annacqua. E poi ci si chiede come mai l’Italia sia un Paese tacciato di immobilismo… Non ci sono eccezioni, nemmeno (o meglio, soprattutto) quando in gioco c’è la lotta alla corruzione. E così il Governo Letta, con un gesto muscolare, ha avocato a sè il controllo degli incarichi incompatibili nelle pubbliche amministrazioni, rendendo impotente l’Autorità nazionale anticorruzione.
Una lunga gestazione
Dopo un lungo e travagliato percorso in Parlamento, il 6 novembre 2012 è stata approvata la legge n.190, che ha introdotto numerosi strumenti per la prevenzione e la repressione del fenomeno corruttivo, delegando il Governo a modificare la disciplina degli incarichi nella pubblica amministrazione per evitare che si crei un “conflitto con l’esercizio imparziale delle funzioni pubbliche affidate”. In parole povere, per evitare che si verifichino scambi di favori o si agisca in conflitto di interessi. La modifica è stata messa in atto con l’approvazione del decreto legislativo n.39 dell’8 aprile 2013 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale lo scorso 19 aprile e, quindi, entrato in vigore a tutti gli effetti dal 4 maggio. Secondo la normativa è il responsabile del piano anticorruzione che deve contestare l’insorgere delle situazioni di inconferibilità e incompatibilità previste dal decreto, per poi passare la segnalazione all’Autorità nazionale anticorruzione (Civit), all’Autorità garante della concorrenza e del mercato, nonché alla Corte dei Conti. Proprio in questa ottica la legge n.221 del 17 dicembre 2012 ha rafforzato l’Autorità nazionale anticorruzione, prevedendo che il presidente venga scelto su proposta dei ministri della Giustizia, dell’Interno e della Pubblica amministrazione, tra persone notoriamente indipendenti e che hanno avuto esperienza nel contrasto alla corruzione. Finora sono state centinaia i quesiti inoltrati da comuni, province, regioni e altre amministrazioni, in merito all’interpretazione della legge anticorruzione. Il Civit ha risposto adottando 4 delibere in tre mesi in materia di incompatibilità e inconferibilità degli incarichi, in virtù delle quali sindaci, assessori, consiglieri, dirigenti comunali, regionali e provinciali, amministratori di società partecipate o controllate, sono stati costretti a dare le dimissioni. Si è scatenato un terremoto politico-amministrativo in un Paese dove le poltrone si collezionano e il conflitto di interessi resta un “emerito sconosciuto”. Ebbene, a tutto ciò il governo Letta ha risposto decidendo di avocare a sé il potere di emanare direttive sull’interpretazione e sulla applicazione della legge anticorruzione.
Le modifiche
All’interno del “Decreto del fare” sono stati inseriti due emendamenti che delegano alla Presidenza del Consiglio dei Ministri-Dipartimento della Funzione pubblica il compito di esprimere pareri in tema di trasparenza, inconferibilità e incompatibilità degli incarichi nelle pubbliche amministrazioni, negli enti pubblici e in quelli privati sottoposti a controllo pubblico. Così facendo l’Autorità nazionale anticorruzione viene ridotta a mero organo consultivo, perdendo i requisiti di piena autonomia e indipendenza espressamente e più volte sottolineati dalla Convenzione delle Nazioni Unite, dalla Convenzione di Strasburgo e più recentemente dal G20. “L’applicazione della legge ha dato fastidio a molti – si vocifera all’interno dell’authority – E ora tira aria di un’assoluzione generale”. Sembra che il presidente del Civit, Romilda Rizzo, succeduta ad Antonio Martone il 29 marzo 2012, abbia sfogato al premier Enrico Letta la sua contrarietà all’iniziativa legislativa.
Senza un organo terzo che vigili sulla materia, non c’è da meravigliarsi se poi continuano a proliferare nelle pubbliche amministrazioni incarichi affidati a dipendenti incompatibili. Come sta succedendo, ad esempio, alla Regione Lazio.