Con il voto di fiducia sul decreto per prorogare le norme anti-Covid, in cui è stata inserita anche una contestata modifica alla legge che regola le nomine dei vertici dell’intelligence, le polemiche e la fronda sono rientrate, ma i malumori restano. Proprio sulla gestione del potere sui servizi segreti è stato quindi audito ieri dal Copasir il premier e Giuseppe Conte, a più riprese attaccato per aver mantenuto la delega sugli 007, alla fine ha lanciato dei segnali di apertura, con la seduta chiusa con un generale auspicio a far sì che il Parlamento riveda la legge in materia e su una materia così delicata non si ricorra nuovamente a decreti emergenziali.
LA SEDUTA. Il presidente del Consiglio ha parlato per circa due ore a Palazzo San Macuto, rispondendo alle domande dei membri del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, i quali non avevano affatto gradito di non essere stati coinvolti nella decisione di inserire nel provvedimento sull’emergenza coronavirus anche modifiche sulle nomine dei numeri uno dei Servizi. Una discussione tutta relativa alla normativa in materia, ma in cui ben si notano le diverse posizioni all’interno della stessa maggioranza. Il premier ha mostrato quindi disponibilità a favorire ritocchi alla legge e lo stesso ufficio di presidenza del Copasir è orientato a procedere con delle modifiche mediante emendamenti da presentare in un successivo decreto.
La vecchia norma del 2007 prevedeva che gli incarichi ai vertici dell’intelligence avessero una durata massima di quattro anni, rinnovabile per una sola volta, e nel decreto sull’emergenza Covid, oggetto su tale punto di differenti interpretazioni, il Governo ha sostituito le parole “per una sola volta” con la formula “con successivi provvedimenti per una durata complessiva massima di ulteriori quattro anni”. Il Copasir ha quindi fatto sapere che tutti i componenti del Comitato, dopo l’audizione, “auspicano che il Parlamento possa intervenire, in uno dei prossimi provvedimenti, sulle norme della legge n. 124 del 2007”.
Il messaggio è chiaro. Il Comitato, presieduto dal leghista Raffaele Volpi, ha inoltre specificato che è anche emersa l’esigenza, “superando logiche emergenziali o contingenti”, di avviare quanto prima un’organica azione di aggiornamento della legge stessa, al fine di adeguarla all’evoluzione del quadro istituzionale e alle nuove minacce per la sicurezza. Un’intesa, seppure difficile, è stata dunque trovata, utile a ricompattare sul fronte degli 007 tanto il Movimento 5 Stelle, che sul decreto si era spaccato, che i dem, considerando che il gruppo legato in particolare al ministro della difesa Lorenzo Guerini e all’ex ministro dell’interno Marco Minniti appare particolarmente legato a uno dei direttori dell’intelligence su cui si sono svolte le principali discussioni, il capo dell’Aisi, Mario Parente.
Un particolare che sarebbe alla base anche del pressing su Conte per fargli cedere la delega, poi rallentato in quanto sul fronte dei possibili coinvolgimenti nel Russiagate potrebbero, assicurano fonti qualificate, avere più problemi i predecessori dell’attuale premier. Sarà poi il Parlamento a dover individuare un meccanismo condiviso relativo alla durata della nomina dei vertici dell’intelligence e le competenze delle stesse Agenzie di sicurezza. Al momento intanto Gennaro Vecchione, alla guida del Dis, Mario Parente, a capo dell’Aisi, e Giovanni Caravelli, al timone dell’Aise, non sono in discussione.