Fa presto la maggioranza ad esultare. Secondo il rapporto mondiale dell’Ilo (Organizzazione internazionale del lavoro) i salari reali in Italia nel 2024 sono aumentati del 2,3% dopo la caduta registrata nel 2022 (-3,3%) e nel 2023 (-3,2%) legata alla fiammata inflazionistica. Ma la maggioranza occulta un altro dato che emerge dal Report.
L’analisi delle tendenze salariali in un arco temporale di 17 anni evidenzia come l’Italia abbia subito le perdite maggiori in termini assoluti di potere d’acquisto dei salari a partire dal 2008. Tra i paesi a economia avanzata del G20, le perdite di salario reale sono state dell’8,7 per cento in Italia, del 6,3 per cento in Giappone, del 4,5 per cento in Spagna e del 2,5 per cento nel Regno Unito.
Italia maglia nera tra i paesi del G20 sui salari
In Italia, la perdita è stata particolarmente significativa a seguito della crisi finanziaria mondiale (periodo 2009–12). Per contro, la Repubblica di Corea si distingue per aver registrato un aumento salariale complessivo del 20 per cento tra il 2008 e il 2024.
Ovvero, come detto in precedenza, l’aumento registrato nell’ultimo anno non è stato tuttavia sufficiente a compensare le perdite subite durante il periodo di alta inflazione.
In termini di diseguaglianze, l’Italia presenta un livello di disparità salariale inferiore alla media dei paesi ad alto reddito, con una maggiore disuguaglianza nella parte superiore della distribuzione salariale. In contrasto con la tendenza globale, la disuguaglia salariale media in Italia è tuttavia rimasta pressoché invariata durante il periodo 2006-2018 a causa della compensazione tra la riduzione delle diseguaglianze nella parte superiore e l’aumento tra quelle della fascia salariale più bassa.
A soffrire di più i lavoratori a basso reddito
Già, perché a subire la perdita maggiore del potere d’acquisto sono stati i lavoratori a basso reddito poiché sono quelli che spendono la parte più consistente del loro salario in beni e servizi di prima necessità come l’alloggio, l’energia e i beni alimentari.
Nel caso dell’Italia, dove non esiste un salario minimo legale, i salari vengono fissati attraverso la contrattazione collettiva.
I contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL) che scaturiscono dai negoziati e dagli accordi tra le organizzazioni datoriali e i sindacati definiscono dei minimi di salario (i c.d. minimi tabellari) per ciascun settore, professione e livello di inquadramento, coprendo la maggior parte dei lavoratori dipendenti e garantendo un livello minimo di retribuzione in base alla categoria lavorativa e all’anzianità di servizio.
Le retribuzioni contrattuali orarie nominali calcolate su una media dei CCNL sono aumentate del 15 per cento negli ultimi 10 anni. In termini reali, le retribuzioni hanno tuttavia subito una perdita di oltre 5 punti percentuali e prodotto un calo del potere d’acquisto dei lavoratori. L’impatto della crisi del costo della vita è particolarmente evidente.
Nel nostro Paese cala anche la produttività
I salari reali sono rimasti relativamente stabili per poi diminuire rapidamente a partire dalla metà del 2021. Questa decrescita è proseguita fino alla fine del 2022, dopodiché i salari reali hanno ripreso a crescere, pur restando al di sotto dei livelli dell’inizio del 2015.
L’Ilo fa anche un focus sulla produttività del lavoro segnalando che a partire dal 2022 la produttività del lavoro in Italia è cresciuta più dei salari reali invertendo la tendenza opposta verificatosi durante un arco temporale di 22 anni.
Durante il periodo 1999-21 i salari reali medi dei lavoratori – si legge – sono cresciuti a un tasso superiore rispetto alla produttività del lavoro.
“Questa tendenza si è invertita nel triennio 2022-24 durante il quale la produttività è cresciuta più dei salari”. Tra i paesi ad alto reddito, spiega l’Ilo, la produttività in media è salita tra il 1999 e il 2024 del 30% mentre in Italia è diminuita del 3%.