Profilazione razziale dalle forze dell’ordine, un decennio di richiami ignorati

Dieci anni di rapporti ignorati denunciano criticità nell'operato delle forze dell'ordine italiane. Ma le riforme continuano a mancare

Profilazione razziale dalle forze dell’ordine, un decennio di richiami ignorati

Le critiche rivolte all’Italia per episodi di discriminazione razziale non rappresentano una novità. Ogni tanto un rapporto internazionale riporta l’attenzione su un fenomeno che, sebbene noto, non è mai stato affrontato con la serietà necessaria. Il recente rapporto del Consiglio d’Europa, che denuncia la persistente discriminazione razziale da parte delle forze dell’ordine italiane, è solo l’ultimo di una lunga serie di richiami che a partire da oltre un decennio fa, continuano a segnalare irregolarità mai risolte.

Un decennio di richiami ignorati: il fallimento delle riforme

Come ricorda Pagella politica già nel 2012 il Comitato europeo per la prevenzione della tortura aveva sottolineato abusi legati alla profilazione razziale e all’uso sproporzionato della forza durante gli arresti, in particolare contro migranti e minoranze etniche. Quelle osservazioni furono seguite da altre, nel 2015 e nel 2017, quando il Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione razziale (CERD) evidenziò come la polizia italiana continuasse a ricorrere a pratiche di profilazione etnica, soprattutto nelle aree ad alta densità di immigrazione. Nella maggior parte dei casi, queste segnalazioni non portarono a cambiamenti significativi, lasciando le stesse problematiche in sospeso.

A questi rapporti si sono aggiunte altre denunce, come quelle contenute nel documento del 2019 stilato dal Gruppo di esperti contro la discriminazione razziale del Consiglio d’Europa (ECRI), che riprendeva i temi già sollevati in passato. Eppure, nonostante le numerose sollecitazioni, le autorità italiane hanno tardato nell’attuare riforme concrete per evitare ulteriori violazioni. È evidente che il problema non si limita a singoli episodi (e a singoli governi): si tratta di una questione strutturale che ha bisogno di un intervento di più ampio respiro.

Il rapporto del 2021 del Consiglio d’Europa, che fa parte di questa lunga sequela di segnalazioni, ha ribadito come la Polizia italiana non abbia fatto passi in avanti significativi per evitare comportamenti discriminatori, soprattutto in contesti di controllo dei documenti e di ordine pubblico. Anche Amnesty International ha più volte denunciato le irregolarità nell’operato della Polizia italiana, sottolineando come i soggetti più colpiti siano sempre le persone di origine africana, i rom e altre minoranze etniche. La maggior parte di questi rapporti richiama anche l’assenza di un monitoraggio adeguato e trasparente sulle operazioni della Polizia, una lacuna che rende difficile quantificare con precisione l’impatto delle pratiche discriminatorie.

Discriminazione radicata: una questione strutturale

Un’altra importante raccomandazione, risalente al 2014, è quella del Comitato contro la tortura dell’ONU, che ha sottolineato la necessità di creare un meccanismo di controllo indipendente per monitorare i comportamenti delle forze dell’ordine. Anche questa proposta è rimasta inattuata. Nel 2018, il CERD ha nuovamente richiamato l’Italia, specificando che, senza un intervento legislativo chiaro e una formazione adeguata, sarebbe stato difficile interrompere il ciclo di violenza e discriminazione all’interno delle istituzioni di sicurezza.

Se questi rapporti condividono una cosa, è la loro capacità di far emergere un ritratto inquietante della Polizia italiana, in cui la discriminazione razziale sembra ormai radicata. Come evidenziato in un rapporto del 2020 dell’European Union Agency for Fundamental Rights (FRA), gli episodi di violenza e abuso di potere da parte delle forze dell’ordine non sono solo sintomatici di un problema italiano ma rivelano una questione più profonda: la mancanza di volontà politica per riformare efficacemente le forze di polizia. Questo ha portato a un circolo vizioso in cui le stesse raccomandazioni si ripetono, senza mai essere seguite da azioni concrete.

Il recente rapporto del Consiglio d’Europa del 2023 non fa altro che riaffermare ciò che era già chiaro.  Le testimonianze di discriminazione razziale non si fermano alle strade, ma proseguono all’interno delle carceri italiane, come abbiamo raccontato qui su La Notizia il razzismo diventa parte integrante del trattamento riservato ai detenuti di origine straniera, spesso soggetti a violenze e trattamenti inumani. Anche qui, i richiami da parte delle organizzazioni internazionali, come l’ONU e il Consiglio d’Europa, non sono mancati, ma l’azione concreta si fa attendere.