Ci sono “verità che anche se scomode, devono essere raccontate”. Inizia con queste parole la requisitoria con cui il sostituto procuratore generale di Palermo, Sergio Barbiera, ha chiesto la conferma di tutte le condanne di primo grado relative al processo sulla trattativa Stato-Mafia.
“Uomini delle istituzioni, apparati istituzionali deviati dello Stato, hanno intavolato una illecita e illegittima interlocuzione con esponenti di vertice di Cosa nostra per interrompere la strategia stragista” ha proseguito il magistrato ricordando come “la celebrazione del presente giudizio ha ulteriormente comprovato l’esistenza di una verità inconfessabile, di una verità che è dentro lo Stato, della trattativa Stato-mafia che, tuttavia, non scrimina mandanti ed esecutori istituzionali perché, come ha ricordato il Capo dello Stato Sergio Mattarella, nello corso delle commemorazioni dell’anniversario della strage di Capaci, o si sta contro la mafia o si è complici. Non ci sono alternative”.
REQUISITORIA FIUME. Una requisitoria fiume, iniziata il 25 maggio nell’aula bunker del carcere Pagliarelli di Palermo e terminata ieri, con cui i procuratori generali, Barbiera e Giuseppe Fici, hanno sollecitato al presidente della Corte d’Assise d’Appello di Palermo, Angelo Pellino, la conferma delle pesantissime sentenze emesse in primo grado (leggi l’articolo). In quell’occasione, ossia nel lontano 20 aprile 2018, con una sentenza storica la Corte d’Assise, presieduta da Alfredo Montalto, aveva inflitto 28 anni di carcere al boss Leoluca Bagarella, 12 all’ex senatore Marcello Dell’Utri (nella foto), agli ex vertici dei carabinieri del Ros Mario Mori e Antonio Subranni, e Antonino Cinà ossia il medico di Totò Riina, 8 al colonnello dei Carabinieri Giuseppe De Donno.
All’epoca dei fatti tutti loro erano stati ritenuti colpevoli di violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario dello Stato, reato previsto dall’articolo 338 del Codice penale. Si tratta di quelle che ripercorrendo il caso in Aula, il procuratore Fici ha definito “le stesse menti raffinatissime che avevano sostenuto la coabitazione tra il potere criminale e le istituzioni, avviando la trattativa” che hanno “consentito a Riina di dire che lo Stato si è fatto sotto” per trattare. Un accordo che, ha detto il magistrato, sarebbe proseguito anche dopo l’arresto “di Riina e dei fratelli Graviano”, con le stesse persone che avrebbero “garantito una latitanza protetta per lo ‘zio’, Bernardo Provenzano”.
Dall’archivio: Trattativa Stato-mafia, il pg Fici: “Menti raffinatissime e pupari dietro le stragi. C’è chi ha depistato, distrutto e falsificato le prove”.
Proprio mentre tutto ciò accadeva, spiega il procuratore generale, “nasceva Forza Italia” con Dell’Utri che “ha ricoperto un ruolo decisivo in questa situazione di convivenza gattopardesca”, “curando la tessitura dei rapporti tra Cosa nostra e ‘ndrangheta con il potere politico”. Non solo. “Lo stesso Silvio Berlusconi, chiamato a testimoniare sull’argomento quando era premier, si è avvalso della facoltà di non rispondere. Un suo diritto, certo, ma ci si aspettava un contributo diverso” ha segnalato Fici nella propria requisitoria. Ombre e sospetti su apparati dello Stato deviati che per il magistrato sono confermati anche dai “due dossier su mafia e appalti” compilati dai Carabinieri del Ros tra il 1991 e il 1992.
“Nella prima informativa”, spiega Fici, sono stati “omessi i nomi dei politici, potenti, dall’allora ministro Calogero Mannino a Salvo Lima” salvo poi riapparire un anno e mezzo dopo. All’udienza era presente il boss pentito Giovanni Brusca, che ha partecipato da uomo libero dopo la recente scarcerazione per fine pena.