Alla fine, com’era facilmente immaginabile, la decisione presa dalla maggioranza di governo di convocare in Commissione Vigilanza Rai Sigfrido Ranucci, ha avuto il più canonico degli effetti boomerang. L’audizione del conduttore di Report, infatti, si è trasformata in una farsa, con continui attacchi dagli onorevoli di destra che, però, non avevano un minimo di aderenza con la realtà, senza indizi e senza prove.
L’audizione del conduttore di Report Ranucci in Commissione Vigilanza Rai si è trasformata in una farsa
“Report sembra preferire un giornalismo di teorema, con attacchi politici di matrice ideologia. Ho cominciato a vedere, almeno da quest’anno, un particolare accanimento”, ha ad esempio detto il capogruppo di Fratelli d’Italia, Francesco Filini, intervenendo in Vigilanza in occasione dell’audizione non solo di Ranucci ma anche del direttore dell’Approfondimento Rai, Paolo Corsini. “Dov’era l’inchiesta nel servizio giornalistico riservato alla seconda carica dello stato – si è chiesto Filini – C’era un abbondante uso del condizionale e strani collegamenti tra familiari defunti e Cosa Nostra. Una cosa abbastanza grave. Alla fine del teorema si sono fatte strampalate congetture”.
Filini ha anche precisato che la convocazione di Ranucci in ufficio di presidenza è stata deliberata all’unanimità e non a maggioranza, come sostenuto dai media e dall’opposizione, perché il rappresentante del Movimento 5 Stelle, essendo collegato da remoto, non poteva votare. Piccoli particolari che, al di là del distinguo formale, non modificano di una virgola l’aspetto sostanziale, e cioè che alla fine l’audizione è stata voluta proprio dai rappresentanti della maggioranza per i quali, evidentemente, dal programma non ci sono stati che attacchi politici.
Filini, però, non è stato l’unico a scagliarsi contro Ranucci. Un vero e proprio show (di bassa lega secondo molti presenti, anche della maggioranza) è stato messo in piedi dal senatore di Forza Italia, Maurizio Gasparri, il quale ha prima ironizzato sulla manifestazione di Articolo 21 a sostegno di Ranucci che ha di poco anticipato l’audizione stessa, parlando di “una marcetta di 40 persone”. “Mi aspettavo molti più seguaci”, ha detto, prima di rivolgersi a Corsini. “Cosa pensa di un certo modo di fare giornalismo? – gli ha chiesto -. Lei che pensa dei telefiguranti, messi di spalle, come il presunto parlamentare di Forza Italia? Poi c’è il telericiclo, come l’inchiesta su Urso andata in onda decine di volte”.
Gasparri ha poi citato “il telericiclaggio, il telebaiardismo, telecolombia, telespia sul caso Mancini, telelavitola”. Il senatore ha quindi mostrato una carota come regalo per Ranucci, venendo richiamato dalla presidente della Commissione Barbara Floridia. “Qui non mangiamo nessuno – ha detto Gasparri -. Nessuno vuole censurare nulla, tutto andrà avanti come sempre”. Una trovata teatrale che evidentemente si commenta da sé e che certamente non si addice ai luoghi autorevoli del Parlamento. Ma tant’è.
Una situazione paradossale che è andata avanti anche in seguito, quando è toccato a Ranucci rispondere ai vari attacchi e commenti dei membri della Commissione. Alla fine la stessa presidente della Commissione di Vigilanza Barbara Floridia (M5s) ha invitato più volte Gasparri ad uscire dall’aula dove si stava svolgendo l’audizionei. Gasparri, durante la replica con cui Ranucci stava rispondendo alle domande dei componenti della Commissione, ha battibeccato per diversi minuti con il giornalista, interrompendolo più volte.
Di contro, Ranucci ha risposto punto per punto alle continue accuse dei membri della maggioranza. Mostrando come, ad esempio, la tesi secondo cui le ultime inchieste di “Report” siano solo attacchi politici, non regge. “Sul pluralismo ho dato documento agli atti sui 10 anni di inchieste di Report che ha toccato tutti i politici di tutti gli schieramenti”, ha spiegato Ranucci, nel corso dell’audizione. “Tra i più tartassati negli ultimi anni c’è il ministro Speranza per il piano pandemico, ma anche l’onorevole Renzi quando era al governo – ha proseguito Ranucci – non c’è nessun giornalismo a tesi, spesso e volentieri cambiamo il taglio del pezzo mano a mano che vengono a dipanarsi le inchieste giornalistiche. La natura delle inchieste è lo spirito dell’interesse pubblico”. Colpiti e affondati.
Malgrado il passaggio alla domenica il programma condotto da Ranucci macina ottimi risultati con il 7,4% di share
Ci sono, poi, i numeri. Che in quanto tali sono argomenti testardi, freddi, incontrovertibili. “Da 27 anni Report è un marchio prestigioso e inossidabile dell’azienda Rai, ha realizzato numerose inchieste e numerosi scoop nazionali e internazionali, portando il nome della Rai nel mondo, com’è successo nel caso del ritrovamento della pinacoteca di Tanzi, nel caso della scoperta del piano pandemico inadeguato o delle protesi tossiche impiantate su pazienti. È l’unica trasmissione televisiva di giornalismo che consorzi di giornalismo investigativo internazionale, che all’estero sono premiati con il Premio Pulitzer, hanno scelto come partner”, ha sottolineato ancora Ranucci, il quale ha poi elencato i successi di ascolto di Report nelle scorse stagioni, in cui la trasmissione “ha realizzato il doppio di ascolto di altre trasmissioni competitor di approfondimento, in tutte le puntate è risultata la terza trasmissione dell’intero prime time, la seconda della Rai, con una media di 1,6 milioni di spettatori con punte di 2 milioni, ai quali vanno aggiunti in prima edizione ai quali vanno aggiunti gli 800mila spettatori della replica del sabato”.
Un ulteriore dato oggettivo è che “Report è il programma più premiato della storia della Rai” mentre per quanto riguarda “i costi di produzione sono passati dai 1.900 euro al minuto nel 2016 al 1.200 euro di oggi”. E i risultati non cambiano neanche in questa stagione, nonostante il cambio di palinsesto (subìto): Report ha mantenuto il 7,4% di share la domenica e il 7 nelle repliche del sabato. Numeri importanti. Che testimoniano come di fatto sia l’unica trasmissione (ancora) di successo di Viale Mazzini. Altroché nuovo corso meloniano.