Fernando Proce, conduttore, cantante, giornalista, un artista completo ed eclettico. Sempre in onda nelle principali radio nazionali, una lunga carriera costellata di meritatissimi premi e prestigiosi riconoscimenti.
Hai iniziato da giovane, un mondo che è cambiato moltissimo. Cosa si è perso del periodo passato e cosa si è guadagnato col progresso tecnologico?
“Ho cominciato in radio da bambino, a 9/10 anni. Nei paesini era tutto molto artigianale, si saliva sui tetti a prendere confidenza con le antenne e con i trasmettitori, era una radio che si toccava, che si costruiva. Per i giovani adesso è completamente diverso, è più un’esposizione. Per noi era una scoperta, si è perso l’aspetto magico e romantico. Tuttavia la radio è sopravvissuta, la davano per spacciata quando sono venute fuori le TV musicali, YouTube, Spotify, ma lei riesce sempre a districarsi, a venirne fuori addirittura rinvigorita. Qual è il segreto? Il fatto di poter essere veicolabile ovunque. Non morirà mai, riuscirà sempre ad adattarsi a ogni epoca, a ogni cambiamento. La cavalcata tecnologica irrefrenabile, per molti aspetti, l’ha avvantaggiata”.
Vieni dal sud, molti talenti provengono dalle radio locali. Adesso che le stesse, inevitabilmente, stanno scomparendo, come vedi il futuro?
“È un grande dispiacere. Le radio negli anni ’70 sostituivano i bar, i cinema, erano luoghi di incontro, c’era musica, si organizzavano festival locali, serate, eventi. Ora le web radio hanno cercato di sostituire la radio locale che va scomparendo, anche per il problema della sostenibilità dei costi, e lo dico per esperienza personale dato che ho due emittenti mie, Radio Movida Gallipoli sul DAB e Radio Salentuosi sul web. Poi l’avvento dei social ha messo in ginocchio le piccole realtà, molti hanno chiuso. Sono rimaste le super station come Radio Bruno e Radio Norba che oggi, grazie al DAB, hanno una copertura più ampia. Ma la radio locale che copriva a malapena la provincia non c’è più, se sono ancora lì è perché aspettano di vendere le frequenze che ormai non hanno più nessun valore. Io ho ancora le radio che ti ho detto, ma lo faccio per amore, perché sono investimenti a perdere. Queste radio piccoline sono tartassate da SIAE, SCF, le hanno soffocate. Non so fino a quando riusciremo a respirare, magari switcheremo esclusivamente sul web, è un peccato… A parte l’identità, il legame col territorio, sono anche una palestra per i giovani. Adesso arrivano ragazzini che vogliono fare la radio, lì potevano farsi le ossa, oggi lo fanno nelle web, però è diverso”.
Hai fatto cambiamenti radiofonici importanti, c’è qualche esperienza che ti è rimasta particolarmente nel cuore?
“Tantissimi ricordi, le prime interviste quando ero nelle radio del sud, Biagio Antonacci che veniva a presentare i primi dischi, molte amicizie. Per quanto riguarda la conduzione sono stato sempre un solitario, ho prediletto questo anche se, ultimamente, non accade più. Tra le esperienze, tante, belle, ricordo quando ero a RTL con Leopardo col quale dividevo anche la consolle in una discoteca di proprietà del gruppo. Poi Radio Monte Carlo con Max Venegoni è stato molto divertente e tanti altri, non voglio fare torto a nessuno. E, ovviamente, il gruppo che ho creato adesso al quale sono molto legato”.
Sei anche cantante…
“Ho iniziato a cantare nei festival parrocchiali a 5/6 anni. Ho sempre continuato con la musica, anche adesso con pseudonimi, per il gusto di farlo. Il fatto di essere marcatamente radiofonico mi ha frenato. Se sei un radiofonico di prima linea è difficile fare il cantante, puoi farlo per divertimento, puoi fare dei featuring, ne ho fatto uno ora con le Dolce Vita, delle ragazze che vanno molto in Sud America, con Malgioglio. Prima lo facevo in maniera molto più seria, con Solieri, scrivevo. Continuo a fare serate, canto, scrivo, compongo, suono… volevo fare la rockstar e, invece, la radio mi ha fregato! Scherzo, sono grato a questo mezzo, col passare degli anni mi chiedo cosa sarei stato se non avessi fatto la radio, perché sono un tipo molto curioso, mi sono iscritto diverse volte a varie facoltà universitarie opposte, sono ancora oggi spinto dalla curiosità, però la radio si è impossessata della mia vita e ci convivo bene, non posso lamentarmi”.
Cosa pensi della musica che viene fuori dai talent?
“Ci sono moltissime richieste, sia nelle radio che nei contest. Alcuni sono anche bravi, però, per lo più, questi ragazzi non sono ancora strutturati, mancano la gavetta e l’esperienza da studio. Noi per fare un disco, quando eravamo in analogico, ci mettevamo notti intere; adesso, volendo, un pezzo lo si fa con un telefonino, poi gli autotune, si pensa di essere subito delle star o quasi. Invece la strada è molto più lunga, più articolata, è fatta di esperienze col pubblico, di errori, di piazze vuote, non è subito palco, successo. Non sono contrario ai vari talent, in “All together now” ho visto anche alcune persone capaci, anche in là con gli anni. Sono contrario ai concorsi legati a un massimo di età, forse perché sto diventando anziano, perché potrebbero venire fuori pure delle persone che possono esprimere la propria vena artistica da maturi. Per un contratto discografico probabilmente una major ha più interesse a mettere sotto contratto un quindicenne piuttosto che un quarantenne, però credo che, dal punto di vista dell’espressione artistica, il capolavoro possa arrivare a qualunque età”.