La vendita non è in discussione, ma il passo indietro c’è. Il governo è pronto a modificare il dpcm sulla privatizzazione di Poste, scrivendo nero su bianco che lo Stato non potrà avere meno del 51% delle quote. A riferirlo sono stati i sindacati dopo l’incontro al ministero dell’Economia in cui si è discusso del provvedimento all’esame del Parlamento.
Dal Mef è stato precisato che è una bozza che verrà modificata nelle prossime settimane, probabilmente nel giro di 15-20 giorni. Quindi dopo le elezioni europee. Attualmente il dpcm fissa al 35% il valore minimo sotto cui non può scendere la partecipazione statale, un limite che verrà rivisto al rialzo, raggiungendo il 51%.
Privatizzazione di Poste, il mezzo passo indietro del governo
Oggi lo Stato detiene complessivamente poco più del 64% delle quote di Poste: il 29,26% è in mano al Mef e il 35% a Cdp. Il dpcm prevedeva una cessione delle quote che avrebbe comunque portato lo Stato a mantenere almeno il 35%, per esempio cedendo tutta la parte del Mef. Ma ora è arrivata la decisione di invertire la rotta e mantenere il controllo almeno del 51%.
Il che vuol dire che la cessione di quote sarà molto limitata rispetto a quanto inizialmente previsto. E le risorse che incasserà il governo saranno minori del previsto, allontanando l’obiettivo dei 20 miliardi da racimolare nei prossimi anni con le privatizzazioni. La riflessione nel governo si era aperta già da tempo e lo avevano dimostrato anche le parole della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, quando ha sottolineato che la privatizzazione di Poste Italiane era stata esclusa categoricamente. Va bene la cessione delle quote – era il suo ragionamento – ma “lo Stato deve mantenere non il controllo, ma la proprietà, e serve il 50%”.
L’obiettivo del 51% era stato citato anche dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, in occasione della sua audizione in Parlamento a fine marzo. In quel caso aveva parlato dell’avvio dell’operazione, che avrebbe potuto far scendere lo Stato al 51% di Poste. Target che quindi sarà quello finale e non intermedio. Giorgetti, allora, aveva detto che cedendo tutta la quota del Mef (quindi poco meno del 30%) l’incasso poteva essere di 4,4 miliardi. Considerando che della quota del Mef può essere ora ceduta meno della metà (circa il 14%, per non arrivare al di sotto del 51% totale che verrà fissato dal dpcm), l’incasso per lo Stato dovrebbe scendere intorno ai 2 miliardi complessivi. Il passo indietro, comunque, piace a metà ai sindacati. Il segnale è positivo, dicono, ma non basta: la cessione delle quote di Poste andrebbe completamente scongiurata, per la maggior parte delle sigle.