La privatizzazione di Poste Italiane non solo può avere effetti negativi sui servizi e sui dipendenti del gruppo, ma può anche far perdere soldi allo Stato. Uno studio elaborato da UilPoste ed Eures evidenzia che l’operazione voluta dal governo Meloni e dal ministero dell’Economia guidato da Giancarlo Giorgetti è “finanziariamente insensata”, avendo peraltro un impatto considerato “irrilevante” sul debito pubblico.
Proprio l’abbattimento del debito pubblico era, ricordiamo, una delle ragioni principali che ha portato il governo ad avviare un piano di privatizzazioni per 20 miliardi di euro. Dalla vendita delle quote di Poste, lo Stato prevede di incassare (in realtà stando al dpcm che verrà però modificato, dimezzando di fatto questa cifra) 4,3 miliardi. Perdendo, però, i dividendi di Poste (che andrebbero agli acquirenti privati): rinculerebbe, quindi, a circa 1,6 miliardi in sette anni, secondo lo studio presentato dalla Uil. Tradotto: in soli 15 anni tutti i benefici economici di questa operazione verrebbero annullati.
Privatizzazione di Poste, il costo per lo Stato e i dipendenti
La previsione del Mef è di collocare sul mercato il 29,26% delle azioni oggi detenute dal ministero per ridurre il debito pubblico. Ma, per la Uil, l’operazione è “economicamente insensata” sia sul piano finanziario che “dal punto di vista del valore strategico della rete di Poste Italiane”. Secondo i calcoli effettuati nello studio, attraverso un’emissione di Btp a sette anni, necessaria per finanziare 4,31 miliardi, lo Stato sosterrebbe un costo di 806 milioni per gli interessi, trattenendo però 1,58 miliardi di dividendi netti e con un vantaggio netto complessivo di 779 milioni.
Ma le conseguenze non sono solamente quelle finanziarie: va infatti considerato anche l’impatto sui dipendenti del gruppo. Che già tra il 2013 e il 2022 sono passati da 143.800 a 121mila (-15,8%). E per i quali è aumentata anche la precarizzazione: tra il 2016 e il 2022 l’incidenza dei lavoratori atipici è più che raddoppiata passando dal 3,2% al 6,7%. A giudizio della Uil, un azionariato prevalentemente privato potrebbe sostenere un’accelerazione di questi processi. Pierpaolo Bombardieri, segretario generale della Uil, lanciando l’allarme sottolinea che “Poste Italiane non è né di Giorgetti né di Meloni, Poste è del popolo italiano”.
Motivo per cui, prosegue il segretario, il governo dovrebbe “spiegare perché intendono cedere una quota azionaria per incassare 4 miliardi e rinunciare a 6,8 miliardi nei prossimi anni”. Bombardieri lancia una sfida al governo e Giorgetti: “Sfidiamo Giorgetti e l’apparato tecnico a smentire questi dati”, in riferimento alle cifre emerse dallo studio che evidenziano le ragioni per cui la privatizzazione di Poste rischia di essere un pessimo affare per lo Stato. Il dubbio, per il segretario della Uil, è “che per recuperare i soldi che servono per la prossima manovra si venda tutto quello che si può vendere, senza guardare al futuro”. Tanto più se consideriamo il fardello che il governo già sa di avere per la prossima legge di Bilancio, con un conto in negativo – ancor prima di iniziare – di oltre 10 miliardi a causa delle regole del nuovo Patto di stabilità e della procedura europea per deficit eccessivo. Per la Uil, quindi, la priorità è diventata quella di “difendere un asset strategico”. Che lo Stato vuole mettere in vendita.