Dovevano essere 12 miliardi di euro l’anno. Poi si è passati a 11. Adesso l’asticella è stata fissata a 8 miliardi. Cifre ballerine da anni, che dimostrano come i tentativi di privatizzazione portati avanti dagli ultimi governi siano andati totalmente a vuoto. Da Mario Monti in poi, se si va un po’ a vedere dietro le quinte, nessuno è riuscito a fare nulla di più che cedere partecipazioni alla Cassa Depositi, comunque controllata dal Tesoro, sfruttando la sua esclusione dal perimetro del bilancio dello Stato. Più o meno privatizzazioni finte, quindi. Eppure l’elenco delle società che sarebbero dovute andare sul mercato, a partire dal piano predisposto dall’ex premier Enrico Letta e in parte confermato dal successore Matteo Renzi, era a dir poco pingue. Tra le maggiori società non potevano mancare le Ferrovie dello Stato.
I CASI – Dopo l’era di Mauro Moretti erano stati scelti dal Governo Renzi due profili che avrebbero dovuto porre le basi per una privatizzazione-quotazione di Fs, ossia l’economista Marcello Messori come presidente e il manager interno Michele Mario Elia come amministratore delegato. Dopo poco più di un anno però, complici dissidi e divergenze di ogni sorta, i due sono stati messi alla porta. Al vertice delle Ferrovie è arrivato Renato Mazzoncini, vicino a Renzi, ma la privatizzazione è stata messa in naftalina, in attesa di essere riesumata nel 2017. Sempre che ci si riesca. Nel frattempo le prime mosse di Mazzoncini sembrerebbero orientate a favorire la fusione tra Ferrovie dello Stato e Anas, nel tentativo di costruire un super gruppo dei trasporti non senza grandi incognite per i cittadini-consumatori.
E che dire della tanto strombazzata privatizzazione di Grandi Stazioni, la controllata da Fs che gestisce le più grandi stazioni ferroviarie italiane più quella di Praga? Se ne parla da almeno due anni, con incassi attesi per un miliardo di euro. Per favorire la fluidità del progetto Grandi Stazioni è stata addirittura scissa in tre parti, nell’intenzione di mettere sul mercato solo Grandi Stazioni Retail, con dentro le attività commerciali delle stazioni gestite. Le offerte vincolanti per l’acquisto della suddetta società dovrebbero arrivare a breve, ma il percorso non è ancora concluso. Ancora, sin dal periodo di Letta premier si era parlato dell’opportunità di cedere Sace, la società di assicurazione dei crediti all’export. Questa nel 2012 era stata oggetto di una “finta” privatizzazione, con il suo trasferimento dal Tesoro alla Cassa Depositi, sempre controllata dal Tesoro ma fuori dal perimetro della Pubblica amministrazione (valore dell’operazione 6 miliardi di euro). In tempi più recenti la Sace è però scomparsa dall’agenda delle privatizzazioni, forse proprio per il mezzo pasticcio che era stato fatto nel 2012.
LO SVILUPPO – In dirittura d’arrivo sembrerebbe invece l’Enav, la società che si occupa di controllo del traffico aereo. Qui la scaletta prevede lo sbarco in borsa entro luglio, se tutto va bene. A essere collocata sarà una fetta di capitale fino al 49%. Al momento, però, non esistono stime ufficiali sul valore della società. Alcuni addetti ai lavori ritengono che possa valere tra gli 1,8 e i 2 miliardi di euro, con una prospettiva d’incasso di circa un miliardo se effettivamente venisse messo sul mercato un 49%. Ma anche qui servono alcuni affinamenti. Nel frattempo, però, il tempo passa e in cassa sono entrati solo pochi spiccioli.
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