Non si rassegna il M5S. Non vuole rinunciare all’idea che si debba introdurre una soglia minima di retribuzione in grado di garantire stipendi dignitosi. Il leader Giuseppe Conte è tornato ieri a chiederlo: “Il salario minimo è necessario, non possiamo permettere che ci siano degli occupati con qualche euro lordo all’ora”. E ha fatto un riferimento anche alla contrattazione collettiva perché il Movimento non ha alcun intenzione di sfasciarla.
È quanto i pentastellati provano a spiegare con un lungo post sul loro sito. L’introduzione del salario minimo in Italia “scatenerebbe una fuga dai contratti collettivi”, “comprimerebbe verso il basso retribuzioni e diritti”, addirittura “aumenterebbe la disoccupazione e il lavoro nero”. Sono queste – dichiara il M5S – alcune delle accuse mosse da coloro che si oppongono a una misura di dignità che già esiste in 21 Stati membri dell’Ue su 27. Accuse “totalmente false e prive di fondamento”.
Fin dal 2013 i Cinque Stelle lavorano all’istituzione del salario minimo (leggi l’articolo). Esso viene inserito nella prima proposta sul Reddito di cittadinanza con uno scopo ben preciso: da un lato, aiutare le persone a uscire dalla trappola della povertà e, dall’altro, aumentare gli stipendi dei cosiddetti working poor, i lavoratori poveri.
“Malgrado il fatto che il nostro sistema abbia un’alta copertura della contrattazione collettiva, come la vulgata ama ripetere, recentemente l’Inps ha rilevato che in Italia ci sono 4,5 milioni di lavoratori che guadagnano meno di 9 euro lordi all’ora mentre 2,5 milioni non arrivano a 8 euro. Ciò anche a causa dell’enorme quantità di contratti collettivi nazionali di lavoro, quasi 1.000 quelli attualmente depositati al Cnel, frutto dell’assenza di specifici criteri per individuare gli accordi leader”.
Senza considerare che 360mila persone, pur avendo un impiego, beneficiano del Reddito di cittadinanza perché la loro retribuzione è al di sotto della soglia di povertà. “Perciò nel 2018 abbiamo presentato al Senato un disegno di legge, prima firmataria Nunzia Catalfo (nella foto), per mettere fine a questo circolo vizioso. La nostra proposta intende fissare un principio di buonsenso: nessun lavoratore può guadagnare meno di quanto previsto dai Ccnl più rappresentativi, cioè quelli firmati dalle principali associazioni sindacali e datoriali, e, comunque, il salario stabilito dal contratto collettivo non potrà mai scendere sotto i 9 euro lordi all’ora”.
Così facendo la contrattazione non subirebbe alcun attacco, argomentano i pentastellati, al contrario, con l’approvazione del “nostro” ddl si rafforzerebbe quella “sana” contrastando i cosiddetti “contratti pirata” (sottoscritti da organizzazioni scarsamente rappresentative) e il dumping salariale, quindi la concorrenza sleale. E Ancora. Per aiutare le imprese, il disegno di legge Catalfo prevede la detassazione degli aumenti di stipendio derivanti dal rinnovo dei contratti nazionali per il triennio 2022/2024. Come dimostrano alcuni studi, lì dov’è stato introdotto il salario minimo ha funzionato producendo importanti benefici.
Di recente, l’Università di Harvard ha evidenziato che in Germania, grazie a questo provvedimento, sono stati messi fuori mercato gli impieghi pagati meno di 8,5 euro l’ora (la soglia stabilita nel gennaio 2015, poi aumentata a 9,19 quattro anni dopo) e sono cresciuti sia il prodotto interno lordo sia il numero di occupati. “Ora tocca all’Italia”, conclude il M5S. “Una giusta retribuzione, vuol dire migliorare la qualità della vita dei cittadini e incrementare i consumi sostenendo la domanda interna”.