Primo Sì al decreto lavoro. Un altro schiaffo ai diritti

Via libera del Senato al decreto lavoro. Il provvedimento ha ricevuto 96 voti favorevoli, 55 contrari e 10 astenuti. Ora passa alla Camera.

Primo Sì al decreto lavoro. Un altro schiaffo ai diritti

Dopo la figuraccia in Commissione Bilancio dove la maggioranza è andata sotto a causa dell’assenza di Forza Italia, ieri la coalizione di governo ha ritrovato la sua compattezza e a Palazzo Madama ha ottenuto il via libera sul decreto Lavoro della ministra Elvira Calderone. Il provvedimento ha ricevuto 96 voti favorevoli, 55 contrari e 10 astenuti, e ora dovrà passare l’esame della Camera entro e non oltre il 3 luglio.

Via libera del Senato al decreto lavoro. Il provvedimento ha ricevuto 96 voti favorevoli, 55 contrari e 10 astenuti. Ora passa alla Camera

Un provvedimento che per il governo di Giorgia Meloni darà slancio al mercato del lavoro e quindi all’economia del Paese ma su cui sono forti i dubbi delle opposizioni convinti che sia l’ennesimo favore alle classi più abbienti, per giunta a discapito di quelle più povere. Difficile dar loro torto visto che sul decreto lavoro sono cauti, per non dire scettici, molti economisti.

Del resto il governo Meloni da tempo sembra deciso ad andare avanti contro tutto e tutti, al punto che ieri ha dato l’ultima picconata al Reddito di cittadinanza – il sussidio contro la povertà del Movimento 5 Stelle già abrogato dalla legge di Bilancio – che verrà sostituito dall’Assegno di inclusione (Adi, ndr) a partire dal prossimo primo gennaio.

Com’è facile intuire le due misure sono molto diverse perché l’Adi sarà rivolto a una platea di gran lunga inferiore a quella del Reddito di cittadinanza, prevederà una sterminata serie di paletti e, soprattutto, sarà di un importo ben inferiore. A sostenerlo è l’Ufficio parlamentare di bilancio che dati alla mano dimostra come su quasi 1,2 milioni di beneficiari del sussidio pentastellato, ben 400mila saranno costretti a farne a meno perché esclusi dall’Assegno di inclusione.

Esclusione che avviene perché all’interno di questi nuclei non sono presenti soggetti tutelati. Per i restanti 790mila, invece, in cui ci sono soggetti tutelati, un altro 12% (97mila circa) sarebbe escluso per i vincoli di natura economica. In totale, quindi, i nuclei familiari che beneficeranno dell’Assegno di inclusione saranno circa 740mila, di cui 690mila che hanno già ricevuto il Reddito di cittadinanza e 50mila nuovi beneficiari grazie alla “modifica del vincoli di residenza”.

Ma questa non è l’unica misura del decreto che fa discutere. Nel corso dell’esame in Commissione e in Aula a Palazzo Madama, infatti, sono state introdotte diverse novità. Se nessuno ha granché da ridire sulla proroga dello smart working per i fragili e per i genitori di figli under 14 nel privato fino a fine anno e per i fragili della Pa fino al 30 settembre, ben diversa è la questione del rinnovo senza causali dei contratti a termine, entro i 12 mesi.

Insomma per la stabilizzazione dei precari c’è tempo. Se possibile è ancor più divisivo l’ampliamento del ricorso al contratto di prestazioni occasionali, pagate in voucher, per i lavoratori nei settori dei congressi, delle fiere, degli eventi, degli stabilimenti termali e dei parchi divertimento. Alle imprese di tali settori sarà concesso, in deroga alla disciplina generale, di ricorrere a prestazioni occasionali fino all’importo di 15mila euro a fronte dei 10mila previsti per tutti gli altri settori.

Per non parlare dell’aumento del taglio del cuneo fiscale che rischia di essere una beffa perché oltre ad essere irrisorio, malgrado in esso venga conteggiato anche quanto fatto dall’esecutivo precedente di Mario Draghi, l’importo finale in busta paga sarà ben lontano dai 100 euro di cui si vociferava qualche mese fa e sarà limitato al 2023.

Dal taglio beffa del cuneo fiscale al boom dei voucher. Per M5S e Pd le destre si accaniscono sui più bisognosi

Tutte ragioni che, com’è facile intuire, hanno creato tensioni in Senato dove prima del voto sui banchi del M5S sono spuntati i cartelli per dire “basta alle vite precarie”. Una protesta a seguito della quale la presidente di turno, Anna Rossomando, ha invitato i pentastellati a rimuovere tutti i cartelli così da poter riprendere la sessione. Ma anche senza gli striscioni, l’aria in Aula è rimasta tesa con gli interventi delle opposizioni che hanno tuonato contro questa opera di smantellamento del welfare italiano da parte delle destre sovraniste.

Particolarmente critica la senatrice M5S, Barbara Guidolin, spiegando che ha ammesso di aver “creduto che con tale provvedimento urgente si sarebbe preso di petto il tema dei salari bassi” ma non è andata così visto che “questo decreto non solo non risponde alle reali necessità e urgenze dell’Italia, ma anzi va in direzione opposta rendendo sempre più precario il mondo del lavoro”. Un provvedimento, conclude la Guidolin: “Per fare un po’ di cassa, tutto solo ed esclusivamente per assecondare il consenso elettorale”. “Avete sostituito il Rdc con una misura che, l’altro ieri, l’Upb ha certificato essere totalmente inadeguata” e “fatto retromarcia sul nostro emendamento per la detassazione delle assunzioni delle badanti: prima sì poi no, con il risultato che a pagare saranno migliaia di famiglie che avete illuso” conclude la pentastellata.

Dello stesso avviso il senatore Pd Francesco Boccia secondo cui “è un provvedimento pessimo, che aumenta la precarietà per le lavoratrici e i lavoratori e punisce i poveri” che renderà “l’Italia uno dei pochi Paesi Ue a non avere una misura universale contro la povertà e di sostegno al reddito”.

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