Per mesi abbiamo sentito deputati e senatori della Lega e di Fratelli d’Italia gridare allo scandalo, annunciare leggi e commissioni e indire conferenze, con l’unico obiettivo di gridare “parlateci di Bibbiano”. Il che suona alquanto paradossale considerando che si chiedeva ad altri di parlare di un sistema – quello degli affidi – che evidentemente presenta dei buchi, senza che in quelle stesse circostanze nessuno si prendesse la briga di parlare da sé di quella stessa problematica. Il risultato è che dopo l’inchiesta “Angeli e Demoni” e il “caso Bibbiano” il problema, gravoso, dell’affidamento dei minori si è ridotto per tanti a un hashtag (#parlatecidibibbiano, appunto) e nulla più.
Chi, invece, ha mosso più di un dito ed è giunto a un primo risultato è stato il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede. Qualunque sia il colore politico, l’idea sullo strumento degli affidi, non può non riconoscerlo: il ministro aveva predisposto una Squadra speciale e questa ha già portato a dei dati che, fino a ieri, era praticamente impossibile avere. Ebbene: dai dati raccolti dal ministero emergono due fattori in maniera nitida: i minori fuori famiglia sono decisamente meno rispetto ai numeri che pure erano girati su canali ufficiali: gli ultimi dati disponibili – pubblicati dal ministero del Lavoro alcuni anni fa – parlavano di 30mila minori “fuori famiglia”.
In realtà, secondo lo screening della Squadra speciale, i minori dati in affidamento nel periodo 1 gennaio 2018-30 giugno 2019 sono stati complessivamente 12.338, circa 23 collocamenti al giorno dunque. Parliamo, pertanto, di circa 1,37 minori ogni mille. Siamo in presenza, evidentemente, di un dato che non desta allarme di cui pure tanti parlamentari avevano parlato dopo il caso Bibbiano, a volte anche semplicemente in chiave elettorale. C’è, tuttavia, un altro dato che, invece, segna chiaramente il fatto che il sistema abbia delle pesanti lacune: sono soltanto 1.540 i provvedimenti di rientro del minore nella famiglia di origine, dopo un collocamento in ambiente terzo (comunità, struttura o altra famiglia): il 12,5% sul totale di collocamenti. Cioè vuol dire, in pratica, che nel periodo preso in esame poco più di un minore ogni mille è rientrato in famiglia, nonostante la legge sia chiara sul punto: l’obiettivo dell’affidamento è quello – sempre e comunque – di ricomporre, ove possibile, il legame familiare. L’affido (e nel caso l’adozione) deve essere concepito come extrema ratio.
IL PROSSIMO STEP. Lo sappiamo bene: chi ben comincia è a metà dell’opera. Ma questo non vuol dire che il lavoro finisca qui. Anzi: i dati raccolti ora dovranno essere analizzati prima di entrare nella fase 2, quella operativa. E anche su quest’aspetto Bonafede ha chiarito il punto: “Una delle linee d’intervento sarà l’informatizzazione: entro sei mesi anche i tribunali minori entreranno, infatti, nel processo civile telematico. L’obiettivo è realizzare un monitoraggio costante e capillare da parte della giustizia su tutto quello che accade nel percorso di affidamento del minore”. Un passo importante, a cui ne seguiranno altre: necessità di preveder un termine di scadenza dei collocamenti, salvo possibili proroghe motivate; obbligo di monitoraggio semestrale del percorso da parte del collegio che ha deliberato il collocamento, con assegnazione del caso a un giudice onorario facente parte del collegio deliberante, per garantire un monitoraggio costante da parte della giustizia sul percorso del minore; revisione dei collocamenti. Misure concrete. Al di là delle chiacchiere.