Mario Draghi nei suoi discorsi di presentazione alle Camere ha avuto un paio di stelle polari che hanno illuminato la sua progettualità: ha parlato di ambiente, ha parlato emergenza sanitaria ed ha parlato di giovani. In realtà il tema giovanile è stato già il fulcro del suo discorso tenuto al meeting di Rimini nell’estate del 2020 e quindi in tempi non sospetti. Disse allora: “Ai giovani bisogna dare di più”: dopo la catastrofe della pandemia bisogna affrontare la fase difficile e disseminata di insidie della ricostruzione, che dovrà essere improntata alla flessibilità, al pragmatismo, ma anche alla trasparenza. E i giovani vanno messi al centro di ogni riflessione per rimettere in moto i loro percorsi formativi”.
Discorso nobile, alto, che andava a toccare il fulcro del futuro del Paese e cioè le forze giovani che studiano in questi tempi cupi e difficili. Draghi è all’inizio del suo governo e gli atti che fa ora avranno un inevitabile riflesso “lungo” perché la formazione ha bisogno di tempo, ha bisogno di semina, ha bisogno di acqua e cure. Il giovane è un campo che deve essere coltivato con attenzione, cura e passione perché poi possa dare in seguito gli auspicati frutti. Ed una nazione è la somma di queste cure, di questa passione. Per costruire solidamente ci vogliono solide radici. Dunque ora da Draghi ci si aspetta degli atti consoni in questa direzione. Ma già dall’ambiente si vedono delle difficoltà.
Il ministero della Transizione Ecologica, doveva essere un punto di svolta nel profondo cambiamento del delicato assetto del nostro sistema energetico. Andare verso l’ecologia appunto, in maniera equilibrata e sostenibile. Noi avevamo a suo tempo già scritto dei pericoli insiti in un ministero che poteva in realtà avviluppare l’ambiente in una camicia di forza fatta ancora di idrocarburi perché non solo le lobby ci sono ancora, ma contano anche molto. La mancata fusione del ministero dello Sviluppo economico e delle Infrastrutture in quello dell’Ambiente ci pone già da ora degli interrogativi che speriamo siano sciolti nel tempo.
Ma non è quello che Draghi aveva promesso. Ed anche per i giovani il discorso è lo stesso. Su cosa si basa il loro futuro? Sull’apprendimento e quindi sulla scuola. Che segnali abbiamo dai primi atti di questo governo? Molto negativi. Le scuole, appena possibile, vengono chiuse alla faccia dei tanti proclami sbandierati dal premier nei meeting e nelle sedi istituzionali. Certo c’è la pandemia. C’è il sistema cromatico che come un semaforo impazzito ci segnala lo stato di pericolosità. Ma sulla scuola si era d’accordo che fosse fatto ogni sforzo perché fosse riaperta in sicurezza anche perché, altrimenti, i ragazzi se ne vanno comunque in giro con due risultati esiziali: spandono la pandemia e non studiano. Ma così non è stato.
Gli stessi ragazzi si sono organizzati ed hanno fatto sapere che vogliono tornare a scuola in presenza perché la cosiddetta didattica a distanza, la dad, ha mostrato insieme ai suoi pregi tutti i suoi limiti. La scuola infatti è principalmente socialità e condivisione. È un momento in qui si “impara insieme” e non può essere ridotta a una lezione sullo schermo di un computer. Oltretutto, la precedente ministra Azzolina è stata attaccata dicendo proprio che non era adatta a guidare la scuola in questo difficile momento. È stata ridicolizzata per i suoi banchi a rotelle, ma erano tutti tentativi di fare scuola de visu. Facile fare discorsi orbitali quando non si hanno responsabilità concrete di governo, oppure se le si hanno, si pensa di fare comoda retorica con qualche sprizzo di falso verde e demagogia scolastica.
Ma qui si parla del futuro dell’Italia e non c’è più da tergiversare o prendersi in giro. Ci aspettiamo dal nuovo ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi atti concreti e misurabili. Ci aspettiamo ancora di più da Draghi con fatti altrettanto concreti e misurabili e qui lo attenderemo al varco con tenacia e determinazione. Bianchi dice “la scuola non si chiude” invece sono state chiuse. I 5 Stelle, sul piano prettamente politico, non hanno nascosto la loro profonda delusione per queste prime misure governative dopo i proclami inziali.
Il Capogruppo M5S in commissione Cultura alla Camera ha dichiarato: “Il presidente Draghi è venuto in Parlamento affermando di voler mettere al primo posto la scuola: firmare un decreto che consente alle Regioni di chiuderle, prima di qualunque altra attività, credo non vada affatto in quella direzione. Non nascondo che la delusione rispetto a questa decisione del Governo c’è, sembra una resa dopo mesi e mesi di battaglie per difendere i diritti degli studenti, che in un anno, soprattutto in alcune Regioni, non sono andati a scuola praticamente mai”. Il governo ha bisogno di andare avanti, ma per fare questo occorre che Draghi raddrizzi presto la traiettoria impazzita del pianeta scuola.