Primo banco di prova per il nuovo esecutivo guidato da Giuseppe Conte sostenuto dalla maggioranza nata dall’accordo tra M5S, Pd e Leu. Tra lunedì e martedì si voterà, infatti, la Fiducia alla Camera e al Senato. E l’aula di Palazzo Madama, ancora una volta, sarà il banco di prova più incerto per il Governo. Al Senato, dove il voto è previsto martedì, stando alle dichiarazioni di favorevoli e contrari, l’esecutivo avrebbe 165 sì “ufficiali”. Quattro voti in più della maggioranza assoluta che a Palazzo Madama è di 161 senatori e tre in più dei 162 su cui può contare sulla carta l’alleanza giallorossa allargata a sinistra (107 senatori M5s, 51 Pd, 4 Leu). Alla Camera la maggioranza (circa 348 voti) gode di un ampio e solido scarto sulle opposizioni.
La fase decisiva per la nascita del Conte-bis inizia, dunque, lunedì a Montecitorio e si conclude martedì a Palazzo Madama, tra le proteste esterne di Fdi e della Lega che hanno indetto una manifestazione di piazza. Assente, invece, Fi che, secondo l’indicazione di Silvio Berlusconi, condurrà la sua battaglia di opposizione solo in Parlamento, con l’intento di dimostrare anche l’infondatezza delle voci che danno un imprecisato gruppo di dissidenti a favore del voto di fiducia.
Il governo più giovane della Repubblica (età media 47 anni, inferiore ai 50 dell’esecutivo giallo-verde) sembra destinato a non vivere continuamente col pallottoliere alla mano. O meglio, anche il primo Conte era partito sotto i migliori auspici numerici, ma ha perso pezzi strada facendo soprattutto al Senato – principalmente a causa delle espulsioni nel M5s – arrivando negli ultimi tempi, in qualche occasione, a mancare il traguardo minimo della maggioranza assoluta. Maggioranza fissata a quota 161, che la nuova coalizione riesce appena a centrare con i 106 senatori del M5s (al netto di Gianluigi Paragone che si è dichiarato contrario prima del voto su Rousseau ma potrebbe ora ripensarci), i 51 del Pd e i 4 di Leu.
Maggioranza sul filo di lana, dunque? Non necessariamente, sommando il socialista Riccardo Nencini, i tre ultimi espulsi dal M5s che si opposero alla linea di Salvini (Paola Nugnes, Gregorio De Falco, Saverio De Bonis) e che ora sono orientati sulla fiducia, nonché alcuni esponenti delle Autonomie: il rappresentate della Union Valdôtaine, che ha già annunciato il “si'”, l’ex-Pd Giancarlo Bressa e, probabilmente, Pierferdinando Casini, nonostante i mugugni per l’ingresso di Leu nel governo. Potrebbero aggiungersi, infine, alcuni o tutti i voti dei sei senatori a vita (Giorgio Napolitano, Liliana Segre, Mario Monti, Elena Cattaneo, Carlo Rubbia, Renzo Piano) che sveleranno le loro intenzioni in Aula. Venendo alla Camera, la coalizione giallo-rossa è blindata da una trentina di voti superiori alla maggioranza assoluta di 315: il M5s ha 216 seggi, il Pd 111, Leu 14, che sommati danno quota 341.
Ma non è tutto. Altri 7 consensi sono attesi dal gruppo misto (la componente di Civica popolare e, quasi certamente a differenza del Senato, di +Europa) mentre potrebbero decidere in ordine sparso i deputati espulsi dal M5s. Del tutto imprevedibile, infine, il voto di Vittorio Sgarbi che, all’inizio della legislatura si oppose al governo giallo-verde ma in Aula votò a sorpresa in favore della fiducia. In ogni caso, è certo che i numeri delle opposizioni non possano sbarrare la strada al governo. Ma potrebbero dare anche molto filo da torcere nelle commissioni parlamentari.