Che prima di un nuovo vertice di governo – atteso nelle prossime ore, forse domani – si potesse affrontare la questione era difficile. A Montecitorio ieri le commissioni Affari costituzionali e Bilancio hanno avviato le votazioni sul decreto Milleproroghe. Ma ai temi divisivi per eccellenza – prescrizione e Autostrade – i deputati non sono arrivati. Sul tavolo gli emendamenti renziani ad alto rischio per il Governo. Quello di Lucia Annibali, all’articolo 8, chiede di sospendere per un anno gli effetti della riforma Bonafede già in vigore. Quello di Raffaella Paita e Luciano Nobili chiede di sopprimere l’articolo 35 che crea le premesse per la revoca delle concessioni ad Atlantia. Due mine piazzate sotto la poltrona di Giuseppe Conte.
SPINE NEL FIANCO. In questi giorni è circolata l’ipotesi di una revoca parziale, ovvero limitata alla sola Liguria. Ma sono appunto voci che solo il premier potrà confermare. Intanto l’Aiscat, che riunisce le concessionarie, annuncia di aver ritirato il ricorso al Tar contro l’articolo 35, “confidando in una soluzione positiva della complessa problematica in essere”. Nel testo del documento, datato 27 gennaio si afferma che l’Aiscat ‘’non ha più interesse alla coltivazione del giudizio’’. Il presidente del Consiglio Conte è impaziente di mettere mano alle riforme che gli stanno a cuore: Irpef, green new deal, sostenibilità ambientale. Ma prima è chiamato ad affrontare i dossier più urgenti (tra cui l’ex Ilva), che sono anche i più minacciosi per il governo. Autostrade e prescrizione sono temi identitari cui il M5S, in pieno travaglio com’è ora, non può rinunciare. Come invece gli chiedono di fare gli accoliti di Matteo Renzi che ha lanciato una crociata contro la sospensione della prescrizione al grido di battaglia “Non moriremo giustizialisti, noi”.
Anche ieri il senatore fiorentino ha minacciato il Guardasigilli ricordandogli che “almeno al Senato non ha i numeri in Parlamento”. Iv ha fatto sapere che, se non dovesse passare il lodo Annibali (in caso di insuccesso alla Camera ripresenterà l’emendamento anche al Senato), sarebbe pronta a votare il testo Costa di Forza Italia che cancella la riforma del ministro pentastellato. In mezzo c’è il Pd. Che da una parte chiede ad Alfonso Bonafede di farsi carico dei dubbi sulla riforma sollevati da più parti e dall’altra respinge i ricatti di Renzi. E ieri, per l’ennesima volta, sono volati stracci tra gli ex compagni di viaggio. “Se non si fossero alzati i toni nella maggioranza, oggi Bonafede sarebbe stato costretto a rispondere alle precise obiezioni di molti vertici degli uffici giudiziari che hanno criticato la nuova norma sulla prescrizione. La politicizzazione dello scontro dovuta prevalentemente a ragioni di visibilità ha tolto il ministro da questo imbarazzo”, ha detto il vicesegretario Pd Andrea Orlando.
“Chi fa questa (surreale) affermazione è Andrea Orlando, fratello gemello di quell’Andrea Orlando che fece la riforma della prescrizione che, con la nostra iniziativa, stiamo difendendo e a cui vogliamo tornare”, replica Luigi Marattin di Iv. Chiaro che tocca al premier, indossati ancora una volta i panni del mediatore, produrre quella “sintesi” che gli chiede a gran voce Nicola Zingaretti. Tra le ipotesi allo studio: un diverso trattamento fra condannati e assolti e una distinzione tra le tipologie di reato, a cui applicare lo stop alla prescrizione. “Senza soluzioni andremo avanti con la nostra legge”, aggiunge il numero uno del Pd. Sul tavolo c’è anche la proposta LeU. Un’eventuale intesa tra i partiti – Bonafede non ha mai chiuso al dialogo – verrebbe recepita nella riforma del processo penale. A questo punto Renzi avrebbe la responsabilità di dire no e consumare lo strappo o viceversa siglare l’accordo. Intanto da Matteo Salvini, che quella riforma ha votato, gli arriva l’abbraccio della morte: “Con Renzi e con il Pd su alcuni temi – come prescrizione e intercettazioni – si può essere d’accordo”. Si smarca dai due Orlando: “Penso si possa cambiare la norma Bonafede senza votare con Salvini e mettere a rischio la tenuta del governo”.