Ormai è chiaro che sulla Giustizia, l’Italia si gioca l’intero montepremi dei fondi europei per la ripartenza dalla pandemia. Del resto l’ha detto chiaramente la guardasigilli Marta Cartabia (leggi l’articolo) anche se, a ben vedere, la riforma non sembra partita con il piede giusto, schiacciata da veti, mal di pancia e da un referendum targato Lega che sta creando ulteriori divisioni. Quel che è certo è che a preoccupare è soprattutto la necessità di trovare un accordo che rimetta d’accordo una maggioranza composta da separati in casa su temi quali prescrizione e ricorsi in Appello.
Contrariamente a quanto dichiarato, la bozza di riforma della giustizia si basa sul testo dell’ex ministro Alfonso Bonafede anche se depotenziato nei suoi punti cruciali. Proprio in fatto di prescrizione, dove sono maggiori le resistenze del centrodestra e di Italia Viva, si registra un profondo cambio di registro, che più che guardare al testo di Bonafede sembra guardare alla passata legge dell’ex ministro Andrea Orlando. Al momento, infatti, sono due le proposte sul tavolo della Commissione giustizia. La prima prevede il blocco della prescrizione legato ai tempi processuali, con la sospensione per due anni in primo grado, per un anno sia in Appello che in Cassazione.
Se i tempi non vengono rispettati, la prescrizione riprende dall’inizio. La seconda proposta si concentra sui tempi del processo che se sforati decretano l’estinzione del procedimento.In questo caso se il processo dura più di 4 anni in primo grado, 3 in Appello e 2 in Cassazione, scatta automaticamente l’improcedibilità. Per certi versi appare ancor più incredibile lo stravolgimento in materia di giudizio d’Appello dove la bozza sembra riesumare, pur con qualche modifica, la legge dell’ex avvocato di Silvio Berlusconi, Gaetano Pecorella. Si tratta di una delle leggi “ad personam” maggiormente discusse, ideata nel 2005, che prevedeva che le sentenze penali di assoluzione non potessero essere appellate in secondo grado.
Un provvedimento che l’allora presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, rinviò alle Camere che poi la ripresentarono ottenendo il via libera. Peccato che dopo nemmeno un anno, il testo è stato bocciato dalla Corte Costituzionale. Così, stando alla bozza della riforma della giustizia proposta dalla Cartabia, si scopre che il pubblico ministero non potrà appellare né le sentenze assolutorie né quelle di condanna ma potrà fare ricorso in Cassazione e sarà questa, in caso, a rimandare tutto in Appello.
Previsti limiti anche per gli avvocati in quanto l’imputato condannato potrà fare appello solo per motivi “stringenti” che saranno previsti dal codice penale ma che, al momento, non sono stati specificati. Come se non bastasse, a creare ulteriore caos ci si mette la Lega di Matteo Salvini che propone un referendum sulla riforma della giustizia. Come raccontato dal sottosegretario alla Giustizia, Francesco Paolo Sisto, “il referendum non danneggerà il processo di riforma: la democrazia diretta è sempre un plus, se esercitata nelle forme previste dalla Costituzione. Al contrario questa iniziativa può essere un modo per sensibilizzare ulteriormente il Paese sulla necessità di intervenire sul sistema giudiziario”.
Parole che non sono andate giù al capogruppo di M5S in Commissione Giustizia della Camera, Eugenio Saitta, secondo cui le dichiarazioni di “Sisto sono provocatorie, irricevibili e non aggiungono nulla di concreto al dibattito”. Un confronto che si preannuncia teso perché lo stesso capogruppo ha spiegato che il Movimento “ha molte riserve su quanto emerso dall’incontro al ministero su alcuni temi, sui quali prima di esprimerci attendiamo quelle che saranno le proposte della ministra Cartabia”.