di Alessandro Barcella
Metter la pulce nell’orecchio. Può bastare già solo anche questo, per trasformare una bella idea in autogol. E’ quanto potrebbe accadere attraverso il “ Voucher per l’accompagnamento delle PMI lombarde nei paesi esteri”, voluto da Regione Lombardia e cui sono state apportate in questi giorni alcune modifiche. Stiamo parlando di un “incoraggiamento”, sotto forma di aiuto economico, per individuare soggetti utili a fare da ponte per consigliare dove e come allargare il proprio giro d’affari oltre l’Italia.
È il decreto n. 2422 del 18 marzo 2013 ad intervenire su un’iniziativa messa in campo a partire da un bando del 2009, che stanziava 4,5 milioni di euro a questo scopo. Ente erogatore dei voucher, a fondo perduto e che coprono una parte delle spese da sostenere, è Finlombarda S.p.A., che dal 1° gennaio 2013 ha sostituito nel compito Cestec S.p.A.
Cosa dice il bando
Il bando detta regole assolutamente nette. I contributi verranno erogati alle piccole e medie imprese con almeno una sede in Lombardia e attività manifatturiera sul territorio (codice ATECO 2007 lettera C) da almeno 2 anni. Stiamo parlando di importi variabili, che le imprese possono ricevere una sola volta l’anno. Qualche esempio? Novemila euro su una spesa di 12mila per analisi e ricerche di mercato, o ancora 10.500 euro su 14.000 nel caso si decida di avvalersi di potenziali partner industriali. Criterio inderogabile del voucher? Sarà valido solo per ipotesi di “accompagnamento” delle aziende in paesi Extra Unione Europea.
Allargare gli affari all’estero, bene. Ma se poi diventasse occasione per trasferire definitivamente l’attività oltre frontiera? Quest’ultima ipotesi si chiama tecnicamente “delocalizzazione”, ovvero il “trasferimento della produzione di beni e servizi in altri paesi” (in genere in via di sviluppo o in transizione) , spiega il network on line di aziende brianzole “Brianzaimprese”. I vantaggi di delocalizzare? E’ sempre Brianzaimprese a spiegarli con dovizia di particolari. Innanzitutto riduzione dei costi di produzione, in Paesi in cui la manodopera specializzata è numerosa e a basso costo. Si andrebbe poi in mercati locali in forte sviluppo, superando barriere commerciali ed ottenendo agevolazioni e semplificazioni burocratiche di cui il nostro Paese ha ormai perso cognizione.
Non stiamo parlando di fantascienza, di una realtà fuori dalle vicende quotidiane. Ce lo conferma, se ce ne fosse bisogno, la CGIA di Mestre, che ha registrato un +65% di delocalizzazione delle imprese nel periodo tra il 2000 e il 2011.
La moria della Pmi
La situazione della chiusura delle imprese, soprattutto piccole o piccolissime, è poi drammaticamente sotto gli occhi di tutti. Giuseppe Tripoli, “garante per le micro piccole e medie imprese”, parla del dato di 365.000 imprese chiuse nell’anno appena trascorso. Nel solo commercio al dettaglio, ristorazione e alberghiero sono state 253 al giorno. E per il 2013? Si stima che questa cifra aumenterà, portandosi a 281 aziende chiuse ogni 24 ore. L’osservatorio sulle crisi d’impresa del Gruppo Cerved mette il proprio carico da 90 e fotografa una situazione ai limiti dell’emergenza: nei primi 9 mesi del 2012 hanno “abbassato la serranda” 55.000 aziende italiane. Maglia nera la regione Marche, seguita da Lombardia e Puglia, mentre la provincia di Milano ha il poco invidiabile primato di essere quella con il più alto numero di società di capitali fallite. Ma è la Lombardia in generale a non farsi onore, con Brescia e Bergamo rispettivamente al quinto e sesto posto. Proprio quella Lombardia in cui ora, ma certamente con intenzioni meritorie e ben diverse, si propongono alle aziende percorsi di “internazionalizzazione”. Non vorremmo solo, come già sottolineato, che questa occasione si trasformasse nel classico “mollo tutto”. In Cina magari, al settimo posto nelle preferenze mondiali delle imprese italiane (scelta da 1103 realtà nostrane). Per la serie, “prendi il voucher e scappa”.