Precariato e salari più bassi del 2013: Svimez fotografa un’Italia alla fame

Nonostante i trionfalismi del governo, Svimez dipinge un Paese sull'orlo del baratro tra salari da fame, precarietà ed errori della politica.

Precariato e salari più bassi del 2013: Svimez fotografa un’Italia alla fame

“I tassi di occupazione più alti degli ultimi venti anni”. “Il Sud che corre più del Nord” ecc… A sentire la propaganda del governo Meloni, si direbbe che l’Italia corre, felice e prospera. Poi però arrivano di dati del Rapporto Svimez 2024  e l’Italia felice lascia il posto alla realtà. Che racconta di un Paese dove, pur aumentando l’occupazione (soprattutto precaria), il potere d’acquisto dei salari è crollato. Dove i giovani laureati fuggono all’estero o al Nord, perché siamo l’unica tra le maggiori economie europee a “vantare” (si fa per dire) retribuzioni reali al di sotto dei livelli del 2013 (-8% nel Mezzogiorno).

Salari mangiati dall’inflazione: in 5 anni potere d’acquisto sceso del 5,7%

A fronte della ripresa occupazionale, dice Svimez, il duro colpo inferto dall’inflazione al potere d’acquisto dei redditi da lavoro resta la criticità più rilevante: tra settembre 2019 e giugno 2024 i salari reali si sono ridotti del -5,7% al Sud e del -4,5% nel Centro-Nord, rispetto al -1,4% dei media dell’Eurozona. “Un vero e proprio crollo al Sud”, sottolinea il Rapporto, “causato da una più sostenuta dinamica dei prezzi e da rinnovi contrattuali, in ritardo in tutto il Paese, che hanno interessato i settori più forti, meno presenti al Sud”.

Per Svimez siamo a “livelli patologici di flessibilità”

Il tutto, in un mercato del lavoro che ha raggiunto “livelli patologici di flessibilità”. Per dirla più chiara, al Sud oltre un lavoratore su 5 è assunto con contratti a termine (il 21,5%, contro una media europea del 13,5%) e le forme contrattuali a tempo determinato sono più diffuse fra donne e giovani. Un precariato “a tempo indeterminato”: al Sud, sottolinea il rapporto, si permane in posizioni temporanee più a lungo, visto che quasi un quarto dei dipendenti a termine nel Mezzogiorno lo è da almeno 5 anni (23,9%, contro il 14,9% del Centro-Nord).

Al Sud, tra part-time involontari e lavoro povero

E ancora: nel Mezzogiorno quasi i tre quarti dei part-time sono involontari (72,9%), a fronte del 46,2% nel Centro-Nord (meno del 20% nell’Ue). E, sebbene ci sia stata dopo la pandemia un’espansione delle posizioni a tempo pieno e a tempo indeterminato, essa sconta il problema strutturale di salari reali bassi e calanti. Dal 2013 le retribuzioni reali lorde per dipendente sono calate di 4 punti percentuale (-8 nel Mezzogiorno), contro una crescita di 6 punti in Germania.

Svimez, la grande fuga dei cervelli: persi 140mila laureati in 10 anni

Basse retribuzioni che hanno anche un effetto dirompente sull’emigrazione “intellettuale”: tra il 2012 al 2022 circa 140mila giovani laureati hanno lasciato il Paese. Inoltre, sempre negli ultimi 10 anni, quasi 200mila giovani laureati si sono spostati dal Mezzogiorno al Centro-Nord.

Gli errori del Governo Meloni

E le prospettive non sono certo rosee, anche grazie agli interventi sbagliati del Governo Meloni. Come l’abrogazione dal 2025 della decontribuzione a favore delle imprese private che lavorano nel Mezzogiorno (Decontribuzione Sud), introdotta dalla Legge di Bilancio 2021, che ha svolto un ruolo importante in questi anni, prima nel favorire la tenuta dell’occupazione nella crisi e poi per sostenerne la dinamica nella ripresa.

“L’eliminazione della Decontribuzione Sud dal 31 dicembre 2024 comporta impatti significativi su crescita e occupazione”, avverte Svimez, “Nel 2023, ha riguardato mediamente più di 2 milioni di lavoratori per una spesa di oltre 3,6 miliardi e lo stanziamento cancellato per effetto dell’abolizione dell’agevolazione è pari a 5,9 miliardi per il solo 2025”. Tanto che Svimez stima che l’abrogazione comporterà una riduzione di due decimi di punto della crescita del Pil del Mezzogiorno e di tre decimi dell’occupazione, con circa 25 mila posti di lavoro a rischio.

Un futuro solo di anziani

E se il presente è funesto, il futuro lo è ancora di più. Le previsioni di Svimez sono svariate, ma una in particolare fa venire i brividi: nel 2050, l’Italia perderà 4,5 milioni di abitanti e l’82% della perdita interesserà le regioni meridionali (-3,6 milioni). Non solo spopolamento, ma un progressivo degiovanimento che colpirà soprattutto il Sud, destinato a veder scomparire 813mila under 15 (il 32,1% degli attuali), mentre gli anziani over 65 anni aumenteranno di 1,3 milioni (+29%).