Mentre il governo si preoccupa di smantellare il welfare, minacciando di mettere mani al Reddito di cittadinanza, arriva l’ennesimo rapporto che denuncia l’esistenza di un mercato del lavoro sempre più precario, dove il contratto a tempo indeterminato appare una chimera e l’esercito dei lavoratori poveri appare in preoccupante crescita.
Il Report Inapp 2022 denuncia l’esistenza di un mercato del lavoro sempre più precario
È il caso del “Report Inapp 2022 – Lavoro e formazione, l’Italia di fronte alle sfide del futuro”, presentato dal presidente dell’ente pubblico di ricerca, Sebastiano Fadda, alla presenza della nuova ministra del Lavoro, Marina Calderone.
L’Italia è l’unico Paese dell’area Ocse nel quale, dal 1990 al 2020, il salario medio annuale è diminuito (-2,9%)
Dei nuovi contratti attivati nel 2021 sette su dieci sono a tempo determinato, il part time involontario coinvolge l’11,3% dei lavoratori (contro una media Ocse del 3,2%), solo il 35-40% dei lavoratori atipici passa nell’arco di tre anni ad impieghi stabili, i lavoratori poveri rappresentano ormai il 10,8% del totale. Il nostro poi è l’unico Paese dell’area Ocse nel quale, dal 1990 al 2020, il salario medio annuale è diminuito (-2,9%), mentre in Germania è cresciuto del 33,7% e in Francia del 31,1%.
Nel 2021 il 68,9% dei nuovi contratti di lavoro sono a tempo determinato (il 14,8% a tempo indeterminato). Nell’insieme il lavoro atipico rappresenta l’83% delle nuove assunzioni con un aumento del 34% negli ultimi 12 anni. Nel 2021 il part time involontario rappresenta l’11,3% del totale dei lavoratori contro il solo 3,2% nell’area Ocse. Ci sono poi quanti, pur lavorando sono in una famiglia a rischio povertà.
Nell’ultimo decennio (2010-2020) il tasso di “lavoro povero” è stato pressoché costante con un valore medio pari a 11,3% e una distanza rispetto all’Unione europea superiore mediamente del 2,1%. L’8,7% dei lavoratori (subordinati e autonomi) percepisce una retribuzione annua lorda di meno di 10mila euro mentre solo il 26% dichiara redditi annui superiori a 30mila euro, valori molto bassi se comparati con quelli degli altri lavoratori europei.
La Lega punta a far decadere il Reddito di cittadinanza dopo la prima offerta di lavoro rifiutata
Se consideriamo il 40% dei lavoratori con reddito più basso, il 12% non è in grado di provvedere autonomamente ad una spesa improvvisa, il 20% riesce a fronteggiare spese fino a 300 euro e il 28% spese fino a 800 euro. Quasi uno su tre ha dovuto posticipare cure mediche. La Lega – ma il ministro del Lavoro frena sostenendo che al momento si tratta solo di un’ipotesi e che poi spetterà a lei fare la sintesi – punta a far decadere il Reddito di cittadinanza dopo la prima offerta di lavoro rifiutata.
La premier Giorgia Meloni vorrebbe toglierlo agli occupabili, che sono appena 660 mila su 3,6 milioni che lo percepiscono, per lo più privi di formazione e magari senza un’occupazione da anni. Bisogna considerare poi che le politiche non sono in grado di accompagnare i beneficiari verso il mondo del lavoro.
“Caratterizzate da una prevalenza delle politiche cosiddette passive e uno zoppicante procedere delle politiche cosiddette attive, rivelano – sostiene Fadda – lacune che, nonostante le intenzioni e i piani di rafforzamento dei Servizi per l’Impiego, le rendono incapaci di incidere significativamente e positivamente sulle dinamiche del mercato del lavoro. Tali dinamiche subiscono spesso distorsioni tali da generare elevati gradi di diseguaglianza sociale e da rendere penosa e angosciata la vita di consistenti fasce della forza lavoro cui l’attuale sistema di welfare non riesce a garantire decenti condizioni né di vita lavorativa né di vita privata”.
Intanto ieri c’è stato un primo incontro tra i sindacati e Calderone sul destino dei navigator, gli oltre 1000 professionisti che erano stati assunti per sostenere i percettori del Reddito di cittadinanza nella ricerca di un lavoro. Il tavolo è stato aggiornato al primo dicembre.