di Vittorio Pezzuto
Chi scrive questo pezzo sa di farlo per pochi intimi. I dati di traffico del sito www.lanotiziagiornale.it, che segnalano una crescita esponenziale di attenzione nei confronti della nostra testata, parlano chiaro e vanno dritti al punto: questa politica non tira, non attira, ha smesso persino di disgustare. Desertifica il pubblico dei talk-show, figuriamoci la platea sempre più marginale dei pellegrini dell’edicola. Interessa ormai soltanto un gruppo ristretto di giornalisti autoreferenziali che tra una twittata e l’altra si parlano addosso così come un ristretto gruppo di italiani – al massimo un milione e mezzo – che di partiti e istituzioni campano in maniera più o meno parassitaria. Tutti gli altri, quando si avvicinano a un quotidiano, cercano notizie che possano riguardarli direttamente, che sfuggano sotto forma d’inchiesta al conformismo della carta stampata sotto dettatura o che magari possano svolgere una meritevole funzione di servizio. Eppure, ci è stato insegnato a scuola, la politica dovrebbe riguardare tutti e rappresentare l’attività più nobile a sostegno del nostro stare insieme. Diteci voi com’è possibile che ce ne ricordiamo, se a incarnarla quotidianamente sono persone che passano di chiacchiera in rinvio, e poi di rinvio in rinvio. Una tecnica consolidata di cui costoro non hanno nemmeno il monopolio.
Si va al 14 gennaio, anzi no
Che dire infatti dei giudici della Corte Costituzionale, che ieri mattina avevano scelto di rimandare al prossimo 14 gennaio ogni decisione di merito sull’incostituzionalità del premio di maggioranza del Porcellum? Chiusi nel loro bell’acquario istituzionale, pensavano di non aver turbato più di tanto il lentissimo tran tran del Parlamento. Con la decisione di non decidere, avevano semplicemente apposto il loro sigillo all’impotenza di uno Stato in cui nessuno si assume una responsabilità che sia una, trovando più comodo buttare la palla in avanti in attesa che accada qualcosa. Ad esempio l’elezione del nuovo segretario del Partito democratico. Non avevano però fatto i conti con il presidente del Senato Pietro Grasso. «I gruppi parlamentari – ha dichiarato – non riescono a trovare un accordo politico, dimostrando di non sentire la marea montante di una rabbia che si riverserà, più forte di prima, contro tutti i partiti. Se lo stallo dovesse continuare non esiterò un attimo a sostenere il trasferimento di questo tema alla Camera dei Deputati». Un avvertimento chiaro, che in serata ha spinto il presidente della Corte Gaetano Silvestri a un improvviso ripensamento: sembra infatti che la Consulta inizierà a discutere questa mattina nel merito. A riprova del fatto che da sempre quest’organo è sempre stato intimamente connesso alla politica, alle sue pulsioni più nascoste e inconfessate. D’altronde ci sarà un motivo se Marco Pannella non è mai stato querelato quando per decenni ha accusato i suoi membri di essere «la grande cupola partitocratica di questo regime». Nel frattempo fioccavano le dichiarazioni dei nominati in Parlamento, che per la trentunesima settimana di seguito si accusano a vicenda di protrarre al Senato la melina sul Porcellum, la legge che nessuno dice di volere ma che sotto sotto tutti i beneficiati non smettono di ringraziare.
Che poi, quella della riforma elettorale è in fondo questione marginale. Di sistemi ne abbiamo assaggiati parecchi e ogni volta ci siamo ritrovati con governi balbettanti, ostaggi delle coalizioni di maggioranza (non penserete davvero che qualcuno voglia il sistema uninominale secco all’anglosassone?), guidati da presidenti del Consiglio che ammettono di avere le mani legate di fronte a ministri recalcitranti. No, quello che innanzitutto ci servono sono riforme costituzionali che mandino in soffitta il bicameralismo perfetto, che trasformino la forma di governo in senso presidenzialista su modello francese, che aboliscano l’obbrobrio dell’attuale titolo V della Costituzione che in questi anni, col pretesto della sussidiarietà, ha concesso una sciagurata autonomia finanziaria, scassando i forzieri pubblici e ingolfando la Consulta con decine di ricorsi sull’attribuzione delle concorrenti e sovrapposte competenze di Regioni e Stato centrale. Qualcuno osserverà come tutto questo sia pane del ministro Quagliariello, insaporito mesi or sono dal lievito dell’ennesima commissione di saggi e oggi a un passo dall’essere infornato dalle Camere. Ma viviamo nel Paese che traccheggia a oltranza e la politica, dalle nostre parti, preferisce continuare ad annoiarci con le sue non decisioni.