Ci era stato presentato come il cavallo di battaglia di Fratelli d’Italia, la “madre di tutte le riforme”, eppure il premierato, approvato in consiglio dei ministri nel novembre dello scorso anno, è stato liquidato con un “chissene” con la stessa facilità con cui era stato esaltato. Alla domanda se l’eventualità di un referendum possa impensierirla, la premier ha risposto con fermezza. “Se non passa – ha tagliato corto Giorgia Meloni – chi se ne importa. Mi chiedono se sono pronta a dimettermi qualora venisse bocciato il referendum: no, io arrivo alla fine dei 5 anni e chiederò agli italiani di essere giudicata. Se la riforma non passa gli italiani non l’avranno condivisa”.
Spunta l’ipotesi di rinviare il referendum sul premierato dopo le politiche del 2027 quando Meloni probabilmente correrà per il bis
Un tentativo maldestro e malriuscito con cui Meloni ha provato a slegare il suo destino politico da quello della riforma costituzionale del suo cuore. E che apre almeno due questioni. La prima appunto riguarda il ridimensionamento dell’importanza di una riforma che ci era stata rifilata come indispensabile per l’Italia e gli italiani. Com’è stato possibile passare dalla riforma regina a quel chissene? La seconda questione riguarda la scarsa considerazione che la premier dimostra nei confronti dei cittadini.
Dalla madre di tutte le riforme al chissene
Meloni stessa, appena approvata la riforma, spiegò che l’elezione diretta del presidente del consiglio garantisce “il diritto cittadini a decidere da chi farsi governare, mettendo fine a ribaltoni, giochi di palazzo e governi tecnici” o “passati sulla testa dei cittadini”. E quindi garantisce “che governi chi è stato scelto dal popolo”.
Come è possibile che la leader di FdI possa mostrare tanto disprezzo ora verso il giudizio degli italiani? Il referendum “non è su di me – precisa – ma sul futuro del Paese”. A maggior ragione, verrebbe da dire, dovrebbe farsi due domande qualora gli italiani bocciassero l’idea di futuro del Paese che le destre ci stanno propinando.
Non a caso Agostino Santillo, vice presidente del gruppo M5S a Montecitorio, dichiara: “Va dato atto che per la prima volta la Meloni è stata onesta: ha già preannunciato che se ne fregherà altamente del giudizio dei cittadini”.
Appena qualche giorno fa, Meloni, dal palco del Festival dell’Economia a Trento, aveva usato toni definitivi sul premierato: “E’ una riforma necessaria in Italia – ha detto – o la va o la spacca: ma nessuno mi chieda di scaldare la sedia o di stare qui a sopravvivere, non sarei la persona giusta per ricoprire questo incarico”.
Le opposizioni all’attacco di Meloni
La leader del Pd glielo ricorda: “Meloni, nel giro di 24 ore, è passata dal ‘o la va o la spacca’ al ‘chi se ne frega’ dell’esito del referendum. ‘Io resto comunque’. È allucinante la leggerezza con cui questa Presidente del Consiglio scambia la Carta costituzionale, che deve tenere insieme tutti gli italiani, con il suo destino personale”, dice Elly Schlein.
La ministra per le Riforme, Maria Elisabetta Alberti Casellati, si precipita a dire che quella frase è stata strumentalizzata. La verità è che la premier teme il referendum e non si esclude – l’ipotesi è rilanciata da La Stampa – che punti a rinviarlo a dopo le elezioni politiche del 2027, quando molto probabilmente Meloni correrà per il bis. E questo anche se il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, spieghi che “la tempistica la stabilisce il Parlamento, non il governo” e che l’auspicio è che ciò “avvenga in questa legislatura”.
Le riforme istituzionali come un esame su Palazzo Chigi. È già successo con Matteo Renzi. A lui andò male: dopo la sconfitta al referendum lasciò la guida del governo. Renzi glielo ricorda. “Sul referendum costituzionale ho dato dei consigli a Giorgia Meloni. Del resto credo di essere un esperto della materia. La Meloni se perde dovrà dimettersi, che voglia o non voglia”, dice l’ex premier.