Pare ormai evidente che l’Italia sia nettamente in ritardo sul Pnrr. L’attuale governo scarica sul precedente esecutivo le responsabilità. Emiliano Brancaccio, professore di Politica economica presso il dipartimento Demm dell’Università degli studi del Sannio, che ne pensa?
“Il primo problema è che tutti e tre i governi coinvolti – Conte, Draghi, Meloni – abbiano assecondato una retorica che è stata quella di sovrastimare l’importanza del Pnrr. In realtà la dimensione complessiva del Piano non è poi così rilevante come un po’ tutti vorrebbero farci intendere. Per quanto riguarda la parte prestiti c’è soltanto un vantaggio in termini di differenziale sui tassi di interesse, che non ammonta a più di 4 miliardi circa l’anno per sei anni. E per quanto riguarda i finanziamenti a fondo perduto, se consideriamo il contributo netto che l’Italia deve dare al bilancio europeo, anche lì non andiamo molto oltre i 4-5 miliardi l’anno. In sostanza i famigerati 209 miliardi sono meno di 10 miliardi l’anno per sei anni. Il fatto che l’attuale premier, che è stata una sfegata anti-euro fino all’altro ieri, sostenga che si debba utilizzare fino all’ultimo euro del Piano mi sembra che rientri nello schema retorico che ha imperversato in questi anni. In realtà se non fosse stato per l’enorme aumento del deficit pubblico italiano, verificatosi tra il 2020 e il 2022, finanziato dalla Bce noi non saremmo mai usciti dalla crisi. Altro che Pnrr. E mi faccia dire anche un’altra cosa”.
Prego.
“I governi coinvolti nel Piano non hanno mai affrontato una questione cruciale. Anche qualora arrivino fondi dall’Europa – e non sono molti – quei pochi fondi che arrivano incontrano un ostacolo burocratico e amministrativo nel fatto che noi non abbiamo le competenze per poter organizzare piani che l’Europa possa approvare. Questo è un deficit in termini di conoscenza e competenza burocratica e amministrativa che abbiamo ereditato da una politica che, nei decenni, ha progressivamente smantellato l’apparato dello Stato e svuotato le intelligenze che lavorano per conto della pubblica amministrazione. Il governo Draghi, quello dei tecnocrati da cui chissà cosa ci si aspettava, non ha fatto niente su questo. E anche questo esecutivo pare ancora di più orientato a svuotare l’apparato dello Stato e a smantellare le competenze e le intelligenze che dovrebbero contraddistinguere un Pa moderna”.
Come valuta la postura del governo in Europa?
“La forza politica che sostiene questo governo è stata una forza sedicente anti-euro fino all’altro ieri. Poi è diventata una forza che doveva garantire gli interessi europei in Italia. Una posizione ondivaga che ispira poca credibilità. Sebbene l’Europa avanzi proposte in alcuni casi sbagliate. Penso al Mes che è un meccanismo di instabilità, in realtà, che dovrebbe spaventare più gli europeisti che non gli anti. Di contro la difesa degli interessi dei balneari da parte del governo è l’ennesima dimostrazione che questo esecutivo tende a proteggere un capitalismo delle rendite, parassitario. Sembra che abbia voglia di scatenare la competizione ai massimi livelli soltanto tra i lavoratori, quando nega il Reddito di cittadinanza e il salario minimo. Laddove si tratta di capitalismo delle rendite (vedi il caso dei balneari ) tende invece a proteggere quegli interessi dalla competizione capitalistica”.
Stiamo perdendo il treno della transizione ecologica?
“La verità sta a metà. Da una parte è sbagliato come fa questo governo a contrapporsi alla transizione ecologica, dall’altra le risorse che vengono messe a disposizione dall’Ue ai fini della stessa transizione sono modeste. E la transizione costa. Il Pnrr offre un volume di risorse insufficiente rispetto a questi costi. Qui vedo da un lato un governo retrivo che non esprime una sensibilità ecologica adeguata alla crisi climatica, dall’altro lato un’Unione europea che pretende la transizione green ma non mette sufficienti risorse a questo scopo”.
Codice degli appalti.
“Mi pare che la politica del governo di favorire appalti, subappalti e sub-subappalti o micro imprese, non assecondi affatto un meccanismo competitivo interno al settore edilizio. È la dimostrazione del fatto che questo governo ha una concezione retriva del capitalismo, tende a proteggere un settore edilizio frammentato invece di stimolare la competizione al suo interno per poter favorire processi di concentrazione e di maggiore tutela della legalità e anche della sicurezza sul lavoro. Ovvero una concezione antiquata del capitalismo che è quella di favorire una proprietà frammentata, imprese piccole e piccolissime che operano spesso in grigio o in nero”.
Cosa ne pensa dello scudo per alcuni reati fiscali?
“Questo è un Paese che, nonostante i piccoli miglioramenti dal punto di vista del recupero dell’imponibile, fa record europei nel campo dell’evasione fiscale. Interventi e misure finalizzate a favorire i comportamenti degli evasori non sono certo adeguate a esigenze di modernizzazione del Paese. Certo si possono distinguere situazioni in cui l’evasione avviene in situazioni marginali dal punto di vista economico rispetto alle grandi evasioni. Ma in generale la cultura dell’evasione andrebbe sradicata. Ai fini proprio della modernizzazione capitalistica. Pagare le tasse è anche un modo per selezionare le imprese più efficienti. Se creiamo continuamente questi varchi per gli evasori noi impediamo il funzionamento della competizione capitalistica. Questo governo parla tanto di favorire le imprese. Sì, ma quali? Quelle parassitarie, della rendita o quelle che si aprono alla competizione, che pagano le tasse, salari giusti e rispettano le norme?”
L’Italia della Meloni sembra trovarsi a suo agio in Europa solo sull’invio di armi a gogò.
“Sul Financial Times, su Le monde e sul Sole 24 Ore abbiamo pubblicato un appello, sottoscritto da numerosi esponenti della comunità accademica mondiale, in cui spieghiamo che si possono inviare armi all’infinito ma se non si delineano le cosiddette condizioni economiche per aprire una trattativa di pace il rischio che le tensioni diplomatiche a livello mondiale si inaspriscano è altissimo. Una di queste condizioni è che gli Usa e l’Ue rivedano il protezionismo unilaterale che hanno assunto verso la Cina e altri paesi vicini. è un aspetto di cui né l’Italia né l’Europa osano mettere in questione, e questo è grave”.