di Maria Giovanna Maglie
Che farà il Cav se alla fine ci riescono a farlo fuori? Quale opzione politica estrema sta valutando in queste ore, e dovrà scegliere per forza se le manovre e le proteste degli avvocati, i cavilli di metodo, le carte sempre più ingarbugliate e sudate non bastassero a fermare la decisione finale? Quel che il Cav si sentirà obbligato a fare riguarda tutti gli italiani, come accade ormai da più di vent’anni. Meno quindici, che sono i giorni che mancano al 19 giugno, quando la Corte Costituzionale esprimerà il parere definitivo sul legittimo impedimento negato a Silvio Berlusconi nel processo Mediaset nel 2010. Se la Suprema Corte darà ragione alla procura, a ottobre ci sarà la sentenza finale che potrebbe confermare l’interdizione del Cavaliere per cinque anni dai pubblici uffici. Pochi giorni dopo, il 24, arriverà anche la sentenza Ruby e la situazione potrebbe precipitare, un pezzo di magistratura italiana potrebbe aver compiuto, e non con sentenze specchiate, non con processi affidabili, il lavoro sporco che la battaglia politica, le elezioni e gli italiani hanno impedito o non hanno consentito di compiere in vent’anni. Parlo dell’eliminazione per via giudiziaria di un portentoso personaggio, di quelli che la storia si proverà a liquidare e poi dovrà studiare con attenzione e umiltà, che ha cambiato il destino già deciso per l’Italia con la fine sanguinosa e sanguinaria della cosiddetta Prima Repubblica, che ha impedito la nostra retrocessione nella serie C dei Paesi del mondo. Che ancora oggi, nonostante tanti programmi liberali realizzati poco o a metà, nonostante la stanchezza del tempo e il peso di qualche vizietto privato che ha invaso qualche volta la vita pubblica, è obiettivamente il baluardo al trionfo del bru bru, del politically correct, del buonismo di maniera, dell’antirazzismo vile e triste, dell’assistenzialismo suicida, delle camicie rosse e dei Bella ciao, ancora grottescamente ostentati nel 2013.
Dell’intero fardello antimoderno che accompagna ancora e oggi anche di più, larghe intese o no, la storia e il patrimonio della sinistra nazionale.
I quotidiani lo chiamano già il piano B, come se fosse un gioco di società, e riferiscono che in Sardegna, dove si è accampato a dispetto della seconda scadenza di elezioni amministrative, e apparentemente deciso a lasciare Roma a Ignazio Marino e il sindaco uscente Gianni Alemanno al suo destino, per il Cavaliere questi sono giorni di preoccupazione, ma anche di lavoro per trovare una strategia ed uscire dall’angolo; che per il weekend a Villa Certosa in Sardegna sono arrivati i tre “falchi” Denis Verdini, Daniela Santanchè e Daniele Capezzone, essendo falchi un altro dei termini facilitatori dei quali non se ne può più, che avrebbero presentato un progetto per rilanciare un partito più leggero, pochi soldi e pochi organismi dirigenti, in grado di raccogliere fondi per le elezioni che non tarderanno ad arrivare, naturalmente in caso di condanne e avvio del processo di cacciata dalla scena politica e dai pubblici uffici del Cav.
Siam insomma di nuovo o finalmente alla rinascita di Forza Italia. Dal continente le cosiddette “colombe”, termine che troppo spesso negli ultimi tempi si deve associare a esponenti politici che per la sorte del Cav non si scaldano più di tanto e vorrebbero, diciamo così, spiccare il volo da sole, si assicura che Berlusconi non intende assumere decisioni se non dopo la pausa estiva, che ci sono ancora troppe cose in gioco, Imu, Iva, costo del lavoro, riforma elettorale, peraltro nel mare più aperto e senza approdi in vista. Sostengono anche con qualche fondamento le colombe, ovvero i governativi spinti, che un cambiamento radicale dell’organizzazione del Pdl fatta oggi e a freddo apparentemente sposterebbe l’attenzione dalla debolezza micidiale dell’organizzazione e del dibattito interno degli altri, quelli del Pd in lite perenne.
Probabilmente temono soprattutto la sostituzione di Angelino Alfano, fin qui nell’ardito ruolo di segretario del partito e vice premier del governo di larghe intese, oltre che ministro dell’Interno; anche qui difficile sottrarsi alla sensazione che un po’ di diversificazione dialettica delle poltrone con relativi posteriori piazzati sopra gioverebbe. Ma qualunque riorganizzazione allo studio è in realtà funzionale all’emergenza della condanna giudiziaria definitiva, è una gamba del piano B.
Indiscrezioni già pubblicate a parte, ed essendo questo non un editoriale ma un’analisi del possibile e dell’incerto, è credibile che serva mantenere la legge elettorale vigente, il Porcellum, che sia urgente e improrogabile far cadere il governo e ricorrere alle elezioni anticipate, che si proceda speditamente con la presentazione di conflitto di attribuzione davanti alla Corte Costituzionale. Non è una bella notizia per le speranze del duo Letta Alfano, e ad Angelino il Cav insisterebbe a dire che per lui il governo potrebbe durare anche tutta la legislatura, ma non se la Cassazione cerca di ammazzarlo perché lui non intende porgere il capo al boia.
Al contrario, si batterà in punta di regolamenti parlamentari in vigore a Palazzo Madama e alla Camera, e naturalmente di articolo della Costituzione. Non è la più bella del mondo? L’articolo 66 della Costituzione recita : «Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità».
Nel caso del Cavaliere, è il Senato, la Giunta delle Elezioni e dell’Immunità, che dovrebbe avviare la «Procedura di contestazione dell’elezione», così viene chiamata. Ma nella Giunta il Pd con il M5S e Sel ha la maggioranza per autorizzare la «decadenza». E l’intero Parlamento uscito dalle ultime elezioni è pronto a far scattare la trappola.
La scelta estrema è dunque la crisi di governo a ridosso della sentenza della Cassazione, praticamente domani, elezioni anticipate, nuova candidatura del Cav non più al Senato ma alla Camera, a caccia del premio di maggioranza, necessario per ottenere il voto contrario all’autorizzazione ad applicare la pena dell’interdizione. Per chi non ritiene che l’attuale governo sia in grado di fare nulla o quasi delle cose indispensabili per salvare il Paese dalla crisi e affrancarlo dalla sudditanza a Berlino e dintorni, è un sollievo, ma meditare su quel che certa magistratura obbliga la politica a fare è pure esercizio da praticare.