Un colpo al cerchio e uno alla botte. Mario Draghi nell’ultima versione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (qui il documento integrale) si impegna sul Superbonus 110%, misura cara ai Cinque Stelle che l’hanno voluta e difesa anche dagli altri partiti di maggioranza, da Forza Italia al Pd, oltre che dagli industriali. La norma verrà prorogata al 2023 e, qualora i fondi non fossero sufficienti, verrà finanziata con la prossima legge di Bilancio. Dentro il superbonus, fuori il riferimento al salario minimo, altro cavallo di battaglia dei pentastellati.
Stop paghe da fame. Ignorata l’Europa.
Nella bozza del Pnrr circolata venerdì scorso si leggeva che “Al rafforzamento del sistema di tutele del lavoro, concorrerà per altro verso l’introduzione del salario minimo legale per i lavoratori non coperti dalla contrattazione collettiva nazionale, a garanzia di una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto e idonea ad assicurare un’esistenza libera e dignitosa”. Nell’ultima versione trasmessa al Parlamento questo passaggio è sparito. Eppure i lavori in Europa su questa strada procedono. A sponsorizzare la misura è la stessa presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. Il 22 aprile gli europarlamentari hanno sostenuto che “la procedura legislativa sul salario minimo che stiamo per avviare è il progetto sociale più importante dell’Ue negli ultimi dieci anni”. E hanno introdotto “una doppia soglia dignitosa per il salario minimo, pari ad almeno il 50% del salario medio e del 60% del salario mediano in Ue”. A chiedere la sua introduzione, in considerazione del fatto che cresce il lavoro povero, è il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico.
Pensioni anticipate. Aiutino alla Lega.
Gioisce invece Matteo Salvini. Il passaggio su Quota 100, in cui si sosteneva che la fase transitoria di applicazione della misura sarebbe terminata a fine anno e sostituita da misure mirate a categorie con mansioni logoranti (leggi l’articolo), è saltato nella versione del Pnrr consegnata alle Camere. “Rinnovare Quota 100 per il 2022 sarebbe a costo zero, alzare l’età pensionabile sarebbe una scelta ideologica, aumentare le tasse e l’età per andare in pensione è fuori discussione”, dichiara il leader della Lega.
Sanità a dieta. Sforbiciata ai fondi.
Poi c’è il capitolo Sanità. Nessuno dimentica che i renziani ritenevano insufficienti le risorse previste dal governo Conte che assegnava, in prima battuta, alla Sanità 9 miliardi. Dote che poi ha irrobustito arrivando a oltre 19 miliardi. Ma lo stanziamento era ugualmente considerato inadeguato da Renzi e i suoi rispetto allo strumento che continuavano a invocare, ovvero i 37 miliardi del Mes. Ieri il premier ha spiegato alla Camera che la dotazione per la missione 6 del Pnrr, quella della Salute, è complessivamente di 18,5 miliardi, di cui 15,6 relativamente a finanziamenti del Recovery fund e 2,9 di risorse nazionali inserite nel Piano complementare. Quindi anche meno rispetto a quanto previsto dal precedente governo. Alla sanità territoriale di risorse europee, ha denunciato Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana, vanno “appena” 7 miliardi.
Fonti green. Ridotte le risorse.
Altro capitolo che merita di essere menzionato è quello della transizione ecologica. Nel testo finale del Recovery plan, è vero che i fondi per l’efficientamento energetico degli edifici grazie all’ecobonus sono saliti di 3,73 miliardi rispetto all’ultima bozza. Ma è altrettanto vero che a farne le spese sono stati i finanziamenti previsti per le rinnovabili e i trasporti puliti, tagliati di quasi 3 miliardi. Numeri che hanno provocato l’irritazione dei Verdi. “Il piano Draghi – sostengono – prevede l’acquisto di soli 53 treni regionali (il Pnrr Conte ne prevedeva 80) a fronte di 456 mezzi in circolazione, di cui 256 alimentati a diesel; parimenti, solo il 12,8% di autobus verrà sostituito mentre, rispetto alla precedente versione, i percorsi ciclabili previsti passano da 1000 a 570 Km. Gli investimenti sulla modernizzazione delle reti idriche sono ridicoli di fronte all’attuale tasso di dispersione e i fondi per la depurazione delle acque reflue non arrivano neanche a sopperire alla condanna della Corte di Giustizia europea verso l’Italia. Non c’è un piano per la tutela della biodiversità né una strategia sulle rinnovabili. E si continua a sostenere il mercato delle fonti fossili, con l’idrogeno alimentato a gas dei progetti Eni e Snam”. Critica anche Greenpeace che parla di “una mezza svolta verde”.