Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) costituisce certamente la più grande opportunità per la transizione ecologica e digitale di cui ha bisogno il nostro Paese, ma i tanti soldi di cui disporremo complessivamente tra fondi da restituire e risorse aggiuntive (a fondo perduto) rischiano di essere poca cosa se non si lavora alla formazione del capitale umano.
In Italia, come tristemente noto, c’è un serio problema di competenze tecniche qualificate e il concorsone indetto dal ministro della Funzione Pubblica Renato Brunetta per il Mezzogiorno, area maggiormente colpita dal fenomeno, anziché incentivare la partecipazione dei detentori degli adeguati profili professionali li ha messi in condizione di fuggire.
La ragione è duplice: da una parte la retribuzione inadeguata a fronte di una così alta preparazione e la temporaneità dei contratti combinata a una promessa di eventuale trasformazione in un rapporto a tempo indeterminato.
RIPRENDIAMOCI I CERVELLI. Ora è tutto un pianto sulle cosiddette fughe di cervelli, ma non possiamo lamentarci della carenza di queste preziose figure se a partire dal comparto della pubblica amministrazione non siamo in grado di valorizzarle. Un sistema malato che avrà conseguenze dirette anche sulla realizzazione della nostra “ricostruzione” post-pandemica, perché mancano i professionisti chiave derivanti dalla convergenza dell’impegno di governo centrale, Comuni e realtà che svolgano un ruolo di mediazione. Il tema della formazione del capitale umano e della sua riallocazione diventa così centrale, con una particolare attenzione a due realtà particolarmente vulnerabili: donne e giovani.
NUOVI PROFESSIONISTI. Il pnrr presenta infatti un’essenziale e vincolante “clausola sociale” che destina il 30% delle risorse europee alle figure che vivono situazioni di particolare criticità. Allora, affinché la clausola non resti lettera morta, è bene ricordare che tra i giovani abbiamo ben due milioni di neet (disoccupati che hanno rinunciato a cercare un impiego) sui quali intervenire motivandoli con l’uso dei giusti strumenti al lavoro. Per quanto riguarda le donne, invece, è opportuno non dimenticare come queste siano ancora oggi chiamate a scegliere tra lavoro e famiglia e come tutto questo si complichi ulteriormente al Sud.
Tutto questo non solo in una logica di inserimento nel mercato del lavoro da disoccupati, ma di sostegno agli occupati nella transizione a professioni che prevedono l’acquisizione di nuove skill, una transizione che ha visto nella pandemia una significativa accelerazione. Le stime fatte sinora ci dicono che il Pnrr dovrebbe generare un incremento del Pil del 3,6% e la crescita occupazionale del 3,2%, ancora poca cosa per ciò che concerne il mondo del lavoro.
Nessuno vuole lasciarsi sopraffare dal pessimismo e nessuno ha la ricetta perfetta in tasca per risolvere mali che affliggono il Paese da sempre, ma oggi più che mai è essenziale agire con la giusta lucidità e lungimiranza per non gettare via l’opportunità di un ripensamento globale del nostro sistema. Stiamo uscendo grazie alla ragione e alla scienza da una guerra che ha contato molti morti, è anche nel loro nome che non possiamo permetterci errori. Non oggi.