Non c’è pace sul Pnrr ovvero su uno dei motivi – l’altro è la pandemia – che hanno giustificato l’arrivo di Mario Draghi a Palazzo Chigi. Il quadro già di per sé non è tra i più lineari. Non solo i fari di Bruxelles sono già puntati sulla situazione italiana a partire dal fronte aperto dell’aumento della spesa corrente. A oggi è ancora in corso da parte dell’esecutivo europeo la valutazione sulla richiesta di pagamento giunta dall’Italia per la prima tranche da 24 miliardi di fondi. E nel 2022 il Governo di Roma è chiamato a rispettare il centinaio di obiettivi indicati nel Piano per quest’anno. Un impegno che evidentemente fa paura ai Migliori.
PRIMA VOLTA. All’interno di questa cornice già di per sé complicata il ministro delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili, Enrico Giovannini (nella foto) – intervenendo a un convegno organizzato dal Cnel sul Recovery Plan- ha lanciato una vera e propria bomba. Per la prima volta un ministro del Governo ha ammesso che il Pnrr potrebbe essere modificato.
“Il 2022 – ha spiegato – è un anno cruciale sotto tanti punti di vista, ma anche per una possibile revisione dei Piani di ripresa presentati dai vari Paesi, alla luce di eventi eccezionali, uno dei quali è il forte aumento dei prezzi delle materie prime, che metterà sotto pressione gli enti appaltatori e che potrebbe richiedere, a livello europeo e nazionale, un aggiustamento dei Piani presentati l’anno scorso”.
A rendere possibile la revisione sarebbe l’articolo 21 del Regolamento Ue 2021/241 che ha istituito il Next Generation Eu. Ma ieri Bruxelles ha attivato il freno a mano facendo capire chiaramente che una potenziale revisione del Pnrr prevede una procedura niente affatto scontata. Una volta che il Pnrr di un Paese membro è stato approvato dal Consiglio Ue “solo in casi eccezionali il Paese in questione può chiedere una revisione del Piano, in linea con l’articolo 21” del Regolamento sul Pnrr, spiega un portavoce della Commissione Ue. “Lo Stato deve dimostrare che non può più attuare il Piano o parte di esso a causa di circostanze oggettive”.
NIENTE SCONTI. La richiesta fa scattare “una rigorosa valutazione, caso per caso, da parte della Commissione e assieme al Paese interessato”. E ancora: se il Paese membro decide di presentare all’Ue la richiesta di revisione del suo Pnrr la Commissione è tenuta a fare una valutazione della nuova proposta seguendo tutti i criteri e i requisiti previsti nel Regolamento sul Fondo di ripresa e resilienza. Se la valutazione è positiva la Commissione proporrà una nuova bozza di decisione attuativa del Consiglio che deve essere successivamente adottata dallo stesso Consiglio europeo.
Se la quota di finanziamenti è inferiore a quella prevista da un Paese membro, l’articolo 18 del Regolamento fornisce “diversi strumenti” agli Stati membri per “colmare il gap costi previsti e quote di finanziamenti finali”, sottolinea il portavoce europeo. Le strade, in particolare, sono tre: lo Stato può presentare un Pnrr rivisto e con una richiesta di prestiti.
Può farlo fino al 31 agosto 2023 e in una misura inferiore al 6,8% del reddito nazionale lordo; il Paese, in linea con l’articolo 7 del Regolamento, può presentare un Pnrr rivisto che preveda un trasferimento di fondi da altri programmi di finanziamento Ue in gestione concorrente (i Fondi di coesione, ad esempio); il Paese membro, infine, può colmare il gap tra finanziamenti e costi previsti “con fondi nazionali”.