Il governo ha nominato i vertici delle cinque grandi partecipate pubbliche. Felice Roberto Pizzuti, professore di Economia e Politica del Welfare State della Sapienza, come crede si sia mosso l’esecutivo?
“Mi sembra che siano nomine che in alcuni casi mettono in pista persone di tutto rispetto ma in alcuni casi in ruoli che non sono quelli corrispondenti alle expertise delle persone stesse”.
Per esempio?
“Roberto Cingolani mi sembra un’ottima persona ma per quel genere di impegno (ad di Leonardo, ndr) non mi pare che il suo sia il profilo più adatto. È un uomo più di questioni tecnologiche che non di questioni, mi pare, di cui si dovrà occupare”.
Diverse polemiche ha sollevato la nomina di Paolo Scaroni all’Enel, dal momento che è considerato responsabile di averci reso dipendenti dal gas di Mosca.
“Intanto bisogna dire che fa il presidente e non l’ad quindi è una carica, quella del presidente, con meno deleghe. Mi pare che la sua sia una nomina che sa più di un premio di fedeltà che Matteo Salvini ha voluto dargli. Peraltro, non vi è dubbio che nel curriculum di Scaroni via sia anche aver messo le sorti del rifornimento energetico del Paese in un unico paniere che poi si è dimostrato un paniere preoccupante e pericoloso”.
Con Giuseppina Di Foggia arriva la prima amministratrice delegata di una partecipata pubblica, ovvero Terna.
“Credo che quando si arrivi a quelle cariche le persone vadano messe nei posti giusti in base alle capacità che hanno indipendentemente dal genere a cui appartengono. Sarebbe strano che nessuna donna si ritrovasse in ruoli apicali visto che ce ne sono di meritevoli”.
Crede che davvero rischiamo di non riuscire a spendere i soldi del Pnrr?
“Questo è un rischio storico per il nostro Paese, che sconta una difficoltà cronica a spendere i soldi che l’Europa ci mette a disposizione. In questo caso i ritardi sono particolarmente gravi. E per due motivi. Il primo è che si tratta di molti soldi, parecchi dei quali a fondo perduto e altri che sono prestiti a tassi di interesse inesistenti. Quindi in un Paese come il nostro dove mancano le disponibilità finanziarie non riuscire a utilizzare quei soldi è un oltraggio. E mi pare preoccupante che da qualche parte nel governo e nella maggioranza si voglia addirittura giustificare che non tutti questi soldi debbano essere presi e spesi. L’altro elemento preoccupante è che in Europa si sta parlando della possibilità di fare qualcosa di simile al Next Generation Eu. Un intervento simile in una situazione di minacciosa recessione sarebbe benedetto. Ma come potrebbe l’Italia dire noi ci siamo dopo che siamo stati premiati ricevendo più soldi di tutti gli altri Paesi col Pnrr ma non siamo riusciti a utilizzarli? Mi pare che questo governo anche se vedesse delle difficoltà dovrebbe agire sott’acqua per superarle ma mai e poi mai accreditare l’idea che non siamo in grado di spendere i fondi che ci sono stati così generosamente donati”.
In ballo c’è anche la riscrittura del Patto di Stabilità…
“Qui c’è da dire che la situazione è molto preoccupante. Se le posizioni che si stanno affermando in Germania venissero confermate – ovvero ripartire sulla falsariga di come era impostato il Patto all’origine – significherebbe che tutta l’apertura di una nuova politica economica che c’è stata, a seguito della crisi da Covid, verrebbe definitivamente archiviata. Se noi siamo riusciti ad attenuare la crisi iniziata nel 2008 è perché paradossalmente la crisi da Covid ha imposto una politica di spese e di investimenti in Europa, come il Next Generation Eu, e non politiche altamente deflazionistiche e recessive come quelle che sarebbero implicite in un’applicazione del Patto nella sua versione originaria. Versione che comporterebbe per i Paesi che hanno più bisogno di investimenti e con un alto debito pubblico, come l’Italia, problemi enormi. E questi problemi finirebbero per ricadere su tutta l’Europa”.
E in tutta questa discussione come si sta muovendo il governo Meloni?
“Ho il sospetto che questo Paese stia facendo la parte di chi è più realista del re. Per accreditarsi nei confronti di una certa visione tradizionale della politica economica europea sta sposando una versione rigorista che non è sbagliata solo per l’Italia ma anche per il futuro dell’Europa. Ma se accrediti una politica errata poi non puoi lamentarti che l’Europa è cattiva e brutta”.
Questo Def è frutto di tale visione rigorista?
“Assolutamente sì. Non prevede un minimo di investimenti. La notizia sembrano i tre miliardi del cuneo fiscale ma la manovra sul cuneo è tipica di chi vuole eludere i problemi. Se i salari sono bassi non è che si possa risolvere il problema così. E oggi i nostri salari sono più bassi di quelli degli anni Novanta, con una disparità distributiva per cui tutti i lavoratori che non siano a medio alto livello hanno visto ridurre le loro retribuzioni. Poi non ci si può sorprendere se, tra precarietà e bassi salari, l’Istat ci dice che abbiamo meno di 400mila nati l’anno quando pochi anni fa ne avevamo più di un milione”.
Questo governo è in grado di affrontare l’emergenza salari?
“Questo governo mi pare abbia l’esigenza di accreditarsi nei confronti di chi ha un pensiero macroeconomico oramai tradizionale e non più adeguato ad affrontare i problemi. Stiamo ritornando dopo il Covid a una macroeconomia tradizionale che è la causa di tutti i nostri problemi da 30-40 anni a questa parte. Da quando stiamo cercando senza riuscirci di ridurre il nostro debito pubblico. Ma proprio quelle politiche non facendoci crescere non ci mettono nella condizione di ridurre il rapporto tra debito e Pil. Se le persone non si sentono tutelate – sia a livello salariale sia di welfare, di sanità e istruzione – meno consumano e più risparmiano. La domanda così non trascina tragicamente niente dietro. Se poi non riusciamo a far decollare gli investimenti neanche con i soldi regalatici dalla Ue siamo messi male”.
È tempo di un salario minimo?
“Assolutamente sì ma non solo. Bisogna rendersi conto che non si può risolvere la questione salariale con la faccenda del cuneo fiscale. Ridurre il cuneo significa che non dai la possibilità di una diversa distribuzione prima dell’intervento pubblico. Perché prima di questo i salari sono sempre più bassi. Poi cerchi di attenuare la cosa ma lo fai a carico del bilancio pubblico. E se tu riduci il cuneo fiscale con quali soldi in prospettiva il bilancio pubblico finanzierà istruzione, sanità, pensioni, investimenti? È un giro perverso, una spirale in cui ci troviamo da più di trent’anni a questa parte”.