Cinque milioni. Non bastano a garantire posti negli asili nido, non servono a ridurre le liste d’attesa nella sanità pubblica, non coprono il costo di un’operazione di contrasto alla povertà. Ma bastano – e avanzano – per ingrassare i finanziamenti alla formazione professionale in mano ai privati. Lo scrive Lucia Valente in un articolo pubblicato su Lavoce.info il 28 gennaio 2025, che mette in fila numeri e norme di un’operazione che sembra studiata per passare inosservata.
Nel Collegato lavoro, entrato in vigore il 12 gennaio, compare un aumento di 5 milioni di euro per il finanziamento di enti privati che si occupano di formazione professionale. Un aumento inserito in Commissione senza relazione tecnica, senza spiegazioni, senza che qualcuno ne abbia mai rivendicato la paternità. Ma soprattutto senza una giustificazione razionale. Perché la formazione professionale è materia regionale, non statale. Eppure, con questa norma, lo Stato finanzia associazioni private per attività che, per legge, non dovrebbero nemmeno essere di sua competenza.
Formazione: una legge vecchia, ma sempre rifinanziata
Il riferimento normativo è la legge 40 del 1987, una norma nata prima della riforma costituzionale del 2001, che ha trasferito la formazione professionale alle Regioni. La legge, scrive Valente, avrebbe dovuto essere abrogata, e invece continua a essere rifinanziata anno dopo anno, indipendentemente dal colore del governo. Già nel 2018, con la legge di bilancio, erano stati stanziati 13 milioni di euro annui per questi enti privati. Ora si aggiungono altri 5 milioni, con un incremento del 38% in un solo colpo.
Si tratta di soldi pubblici che, secondo il decreto ministeriale 8/2024, servono a coprire spese generali di amministrazione di enti privati con funzioni di “coordinamento operativo” della formazione professionale. Il finanziamento copre retribuzioni, affitti, assicurazioni, bollette, viaggi, promozione, indennità agli organi statutari. Un elenco che suona familiare: gli enti privati ricevono soldi pubblici per coprire costi di gestione che nulla hanno a che fare con la formazione vera e propria.
Zero trasparenza, zero controllo
Il sistema si regge su un paradosso: questi fondi pubblici vengono erogati in base ad autocertificazioni degli enti beneficiari. Non esiste un vero monitoraggio, nessuna valutazione della spesa da parte dell’Inapp (l’ente pubblico che dovrebbe valutare le politiche attive del lavoro). I controlli, scrive Valente, sono a campione e possono riguardare meno di un terzo degli enti finanziati.
Nel 2020, secondo il riparto previsto dal decreto ministeriale 3 novembre 2021, i 13 milioni destinati a questi enti erano stati spartiti tra 34 soggetti, con importi che andavano da 24 mila a oltre 1,5 milioni di euro. Ora il fondo cresce e con esso cresceranno i contributi, senza che sia chiaro quali enti ne beneficeranno e con quali criteri.
Il paradosso dei Lep fantasma
I finanziamenti agli enti privati vengono giustificati con la necessità di garantire livelli essenziali di prestazione (Lep) nella formazione professionale. Ma questi Lep non esistono. Non sono mai stati definiti dal governo, né specificati nei decreti attuativi. Sono un’astrazione, un pretesto normativo per giustificare lo stanziamento di risorse pubbliche a soggetti privati.
A ben vedere, osserva Valente, se davvero servisse un coordinamento nazionale per garantire standard uniformi nella formazione professionale, la logica suggerirebbe che fosse affidato a un ente pubblico. Il ministero del Lavoro, l’Inapp, o Sviluppo Lavoro Italia, la società pubblica che ha preso il posto di Anpal Servizi. E invece no: la legge assegna il compito a enti privati, senza obblighi di rendicontazione stringenti.
Per la formazione privata un finanziamento che va tagliato, non aumentato
Il Collegato lavoro ha così trasformato una norma già discutibile in un fondo ancora più ricco per associazioni private, molte delle quali di derivazione sindacale o confessionale. Una pioggia di denaro che continua ad alimentarsi senza alcun controllo, mentre nel resto della manovra si tagliano servizi essenziali.
“Una legge assurda”, la definisce Valente, che sarebbe dovuta sparire con la riforma dell’Autonomia differenziata. Invece resiste, indisturbata. Anzi, si arricchisce di nuovi finanziamenti. Perché nel bilancio dello Stato si può tagliare quasi tutto, ma non il denaro che scorre verso certi rivoli poco trasparenti. Anche quando sono privi di logica e di una reale utilità pubblica.