Autostrade per l’Italia, la società controllata dalla famiglia Benetton e che gestisce buona parte delle infrastrutture costruite a spese degli italiani, non ci sta a restituire la gallina dalle uova d’oro con cui incassa miliardi. La concessione e soprattutto la privatizzazione avvenuta esattamente venti anni fa sono una perfetta antologia di tutto quello che uno Stato non dovrebbe mai fare nell’affidare un bene pubblico, a partire dal sistema con cui si determinano le tariffe, inspiegabilmente sbilanciato a favore del gestore. Nella stessa concessione sono state inserite clausole di riservatezza incredibili per un contratto che non contempla certo segreti militari, a fronte di un’unica condizione irrinunciabile ed essenziale: tenere le strade in sicurezza con una manutenzione che viene – pure questa – addebitata all’interno della tariffa che gli automobilisti pagano al casello.
Ora tutti ricordiamo la strage del ponte Morandi, a Genova, sulla quale è in corso un procedimento giudiziario con pesanti indizi a carico di chi non ha visto – o non ha voluto vedere, questo lo determineranno i giudici – l’urgenza dei lavori di consolidamento evidentemente necessari. A fronte di quel disastro il Governo, e particolarmente il ministro dei Trasporti Danilo Toninelli, hanno chiesto la risoluzione per giusta causa della concessione, avviando una serie di atti amministrativi ai quali proprio ieri Autostrade per l’Italia ha fatto opposizione presentando le sue ragioni in un lungo documento recapitato al ministero.
Insomma, proprio nelle stesse ore in cui la società Atlantia, capogruppo di Autostrade per l’Italia, guidata dallo stesso amministratore delegato Giovanni Castellucci (nella foto), veniva tirata in ballo per un possibile aiuto al Governo con un ricco investimento finanziario in Alitalia, i medesimi soggetti aggiungevano un tassello al sempre più probabile contenzioso legale miliardario con lo Stato. Il classico gioco delle due parti in commedia, che non scandalizza i soliti giornaloni invece scatenati da mesi nel ridicolizzare a ogni occasione Toninelli.
In fin dei conti – potrebbero pensare in buona fede questi organi d’informazione generalmente zeppi della pubblicità di Benetton, Autostrade, Aeroporti di Roma e tutta la galassia che gira attorno allo stesso gruppo industriale – un ponte che cade può essere effetto di una calamità imprevedibile, al pari del cedimento del jersey sul viadotto Acqualonga dell’autostrada A16 Napoli-Canosa, che nel 2013 provocò la morte di quaranta passeggeri di un bus caduto di sotto. Per quella vicenda un giudice monocratico ha condannato diversi dirigenti di Autostrade per l’Italia, ma non Castellucci che seppure al vertice della società è stato ritenuto estraneo alle decisioni sulla sicurezza e manutenzione.
La tratta è dunque rimasta di competenza dello stesso concessionario e tutto è andato avanti come se nulla fosse accaduto, con i privati che incassano e che esattamente come prima non garantirebbero adeguatamente la sicurezza. Questa perlomeno è la valutazione della Procura di Avellino che ha fatto sequestrare le barriere di dodici ponti sulla stessa tratta in cui sei anni fa accadde la tragedia di Acqualonga, iscrivendo nel registro degli indagati tre dirigenti di Autostrade, di cui uno pure condannato in primo grado per quei quaranta morti.
Ora si sa che l’Italia non è il Paese dove chi sbaglia fa un inchino e poi harakiri, o più modestamente chiede scusa e si dimette, ma continuare negli stessi comportamenti a fronte di autentiche stragi, tanto da finire nuovamente sotto inchiesta, è troppo pure per noi. Uno Stato che ha la dignità di chiamarsi tale non può assistere all’infinito ad azioni tanto spregiudicate, ed è incredibile che siano rimasti solo i Cinque Stelle a tenere testa all’incredibile sistema lobbistico e di potere che sostiene la società dei Benetton.
Dalla Lega, che dopo un primo sussulto di sdegno per i fatti di Genova ha poi fatto retromarcia sulla revoca della concessione, a diverse associazioni di consumatori che aderiscono a iniziative finanziate da Autostrade, alla stampa che evita persino di citare il nome dell’azionista di controllo della società con base a Ponzano veneto e tuttora affidata all’inspiegabilmente inamovibile Castellucci, quasi nessuno osa sfidare questo colosso. Un potere così forte da aver quasi recuperato interamente in Borsa il valore perduto dopo il crollo del Morandi. Segno che nella sfida del più forte tra lo Stato e i Benetton pure i mercati hanno capito su chi puntare.