Non ci sono solo le autostrade e decine di ponti in tutta Italia che rischiano di fare la fine del Morandi di Genova. Ridotta in condizioni persino peggiori c’è la rete irrigua del Paese, in buona parte risalente agli anni trenta e da allora priva di un grande piano di manutenzione, se si escludono i miliardi promessi da ogni governo e poi mai erogati e i lavori realizzati a spese dei consorzi di bonifica. Un contesto di cui ci si accorge ogni volta che scoppia l’emergenza idrogeologica di turno, ma che può essere governato accrescendone la consapevolezza dei decisori politici e la programmazione nella spesa.
Prevenzione vera – Per questo con l’avvicinarsi del dibattito parlamentare sulla Manovra, il presidente dell’Associazione nazionale del consorzi di bonifica (Anbi), Francesco Vincenzi, lancia un segnale alle Camere e al ministro Tria. “Non lasciamo che la prevenzione resti al solito una promessa”, spiega a La Notizia, ricordando che se l’estate appena trascorsa è stata positiva dal punto di vista delle riserve idriche, sarebbe un grave errore sottovalutare la crescente siccità, sia per l’uso agricolo che per l’approvvigionamento d’acqua nelle città. Mentre i Governo deve dare battaglia in Europa sul deficit necessario per sostenere Reddito di cittadinanza e taglio delle tasse, nessuno sottovaluta che la coperta sia molto corta. “Ma qui c’è in gioco davvero la sicurezza del territorio – continua Vincenzi – e lasciare certe infrastrutture senza manutenzione abbiamo visto a Genova cosa può provocare”. Terrorismo per fare aprire i cordoni della borsa? “Ma niente affatto. Lo sanno tutti – si impunta Vincenzi – che l’Italia è un Paese con seri problemi dal punto di vista idrogeologico. Terrorismo è non tenerne conto”.
Soffre il made in Italy – Ma cosa rischiamo davvero? “Oltre alla stabilità di intere aree, e non c’è solo il vastissimo caso della subsidenza in Emilia Romagna, va considerato il pericolo di un blackout idrico fatale per la produzione del nostro agroalimentare. Il cuore del Made in Italy è oggi messo in pericolo dalla mancanza d’acqua”, ricorda il presidente dell’Anbi. Tanto è vero che tutti gli ultimi governi hanno preso impegni e stanziato risorse, fino all’ultimo piano di manutenzione pluriennale da 8 miliardi di euro. Quando c’è da prendere questi soldi ecco che però casca l’asino. “Il rapporto dei consorzi di bonifica con le Regioni e i Comuni è generalmente molto buono – dice Vincenzi – ma la burocrazia resta impossibile. Sia quando c’è da accedere a risorse nazionali che a quelle europee”. Un buco che fa ciclicamente emergere la tentazione di nuovi commissariamenti. “Cioè la pezza peggiore del buco – aggiunge – perché qui basterebbe che ciascuno facesse il suo, e le comunità avrebbero grandi vantaggi senza scomodare commissari che da provvisori poi sappiamo in quanti casi si trasformano in definitivi”. Ma i bandi sono troppo lenti e i cambiamenti climatici non aspettano la burocrazia. “Vero – ammette il presidente dei consorzi – ma la cura sta in una programmazione attenta e nella dotazione di risorse finanziarie coerente. Diversamente ci sarà poco da meravigliarsi quando torneremo a vedercela con le emergenze, e i soldi che oggi non si spendono in prevenzione li spenderemo con gli interessi, sempre che non ci vadano di mezzo vittime incolpevoli”. Intanto da più parti si dice che colpa di tutto questo sia dell’Europa. “Non cerchiamo alibi – ferma il ragionamento Vincenzi – siamo di fronte a un problema serio che ha tanti responsabili. Non c’è dubbio però che anche l’Europa con le sue regole complesse in tanti casi non ci ha dato una mano come avrebbe potuto. Chissà che in futuro queste regole non si possano cambiare”.