La Polonia è pronta a guidare il Consiglio dell’Unione europea, con il motto “Security, Europe!”, per i sei mesi del 2025. Un mantra che ambisce a rendere centrale la sicurezza in ogni sua declinazione: esterna, energetica, economica, informativa, alimentare, climatica e sanitaria. Almeno sulla carta. Perché dietro la retorica dei proclami ufficiali si celano contraddizioni che rischiano di trasformare questa presidenza in un esercizio di immagine piuttosto che in un progetto politico coerente.
Sicurezza esterna: retorica e pragmatismo
La Polonia si erge a paladina della sicurezza esterna, con l’obiettivo dichiarato di rafforzare la difesa europea e sostenere l’Ucraina nel conflitto con la Russia. Ma se Varsavia è stata in prima linea nel condannare l’aggressione russa, non si può ignorare la recente frenata sui fondi destinati a Kiev, motivata da restrizioni di bilancio. Le esitazioni sollevano domande: è questa la solidarietà europea che la Polonia intende promuovere? Inoltre, il ruolo di Varsavia nei rapporti transatlantici è ambivalente. Se da un lato ribadisce il legame con gli Stati Uniti, dall’altro le sue posizioni unilaterali in ambito europeo rischiano di minare l’unità necessaria per affrontare le sfide comuni.
Sicurezza energetica: il carbone come zavorra
Nel quadro della transizione energetica, la Polonia annuncia l’intenzione di ridurre la dipendenza dalle fonti esterne e accelerare l’adozione di tecnologie europee. Eppure, è uno dei paesi più dipendenti dal carbone, con politiche che spesso rallentano gli obiettivi di decarbonizzazione dell’Unione. Il contrasto è evidente: mentre Bruxelles punta a un’Europa verde, Varsavia sembra ancorata a un passato fossile che ne limita l’azione. L’ambizione di abbassare i costi dell’energia per famiglie e imprese rischia di tradursi in un ulteriore incentivo al carbone, perpetuando un modello insostenibile e in contraddizione con gli impegni climatici europei.
Sicurezza economica: la politica di coesione sotto esame
La Polonia, beneficiaria netta dei fondi di coesione europei, promette di riformare il quadro finanziario pluriennale dell’UE per rafforzare la solidarietà economica tra gli Stati membri. Ma la credibilità di questa promessa vacilla di fronte alle tensioni con Bruxelles sullo stato di diritto. La recente chiusura della procedura dell’articolo 7 (un meccanismo previsto per affrontare gravi violazioni dei valori fondamentali dell’UE) non cancella le perplessità sulla tenuta democratica del paese governato da Donald Tusk, e le riforme giudiziarie controverse restano un nervo scoperto. La Polonia dovrà dimostrare che il suo impegno per la coesione non è solo una rivendicazione di risorse, ma una reale volontà di rafforzare i valori comuni dell’Unione.
Sicurezza informativa: la libertà sotto pressione
La lotta alla disinformazione è uno dei pilastri del programma polacco. Un obiettivo condivisibile, ma che rischia di perdere forza in un contesto dove la libertà di stampa è sotto pressione. Gli episodi di interferenza governativa nei media e il controllo crescente sulla narrativa pubblica rendono difficile prendere sul serio le ambizioni di Varsavia in questo ambito. La Polonia, che si presenta come baluardo contro la propaganda esterna, deve prima affrontare le derive interne che minacciano l’indipendenza dell’informazione.
Un test per l’Europa
La presidenza polacca del Consiglio Ue si presenta come un banco di prova per Varsavia. La capacità di tradurre le parole in azioni coerenti sarà cruciale per valutare il successo di questo semestre. La sicurezza, declinata in tutte le sue dimensioni, non può restare uno slogan: richiede una leadership credibile, rispettosa dei principi fondamentali dell’Unione. Se la Polonia riuscirà a superare le sue contraddizioni e ad allinearsi con gli obiettivi comuni, potrà legittimare il suo ruolo di guida. In caso contrario, il rischio è che la sua presidenza si riduca a una vetrina priva di sostanza, lasciando un’Europa più frammentata e meno sicura.