Di Giovanna Tomaselli
È stato più travagliato di un parto, ma ieri si è arrivati alla firma tra l’Ad di Alitalia, Gabriele Del Torchio, e il Ceo di Etihad, James Hogan. La compagnia degli Emirati arabi salirà al 49% della società della Magliana. Tutti risolti i problemi che hanno frenato l’accordo, compresa l’approvazione della Uil al taglio degli stipendi, arrivata nella notte. A frapporsi con la chiusura dell’operazione rsta ora solo l’approvazione da parte delle autorità europee. “Ce l’abbiamo fatta, dopo tanta fatica, tante notti e un anno di lavoro” ha detto Del Torchio.
Azzerate le perdite
Nascerà così una nuova società, che azzererà le perdite, ricostituirà il patrimonio e cancellerà 560 milioni di debiti (per un terzo retrocessi dalle banche, il resto trasformato in azioni). Gli emiri verseranno 560 milioni per rilevare la partecipazione (sotto il 50% per non perdere i diritti di volo nella Ue) e garantiranno altri 600 milioni in investimenti. Dunque, complessivamente, la compagnia emiratina metterà nell’operazione 1,758 miliardi. Nella conferenza stampa seguita alla firma, Hogan ha detto che “Etihad è felice di investire per costruire un’Alitalia più forte e dare un servizio di qualità. Avere Alitalia come partner, per noi, è fondamentale”. L’ingresso degli arabi negli capitale dell’ex vettore di bandiera porterà anche a un netto cambio di strategia con focus maggiore sul lungo raggio. L’obiettivo è il ritorno alla reddittività “rendendo più sexy la compagnia”, è stato detto. Prima però servirà un periodo per stabilizzare una situazione difficile. “Non vogliamo eliminare quello che c’è, ma stabilizzare l’azienda” – ha detto testualmente Hogan -. Questo vuol dire che anche se i sindacati hanno firmato accordi per permettere di ristrutturare e rilanciare il marchio, “ci saranno scelte difficili da fare”. Anche Del Torchio si è detto dispiaciuto per chi dovrà lasciare Alitalia, oltre 2 persone, “ma per creare un futuro – ha aggiunto – a volte servono decisioni dolorose”. Un mondo che cambia, come ha capito per ultima la Uil Trasporti, l’unico sindacto che non aveva ancora sottoscritto il contratto nazionale di settore e l’accordo sulla riduzione del costo del lavoro in Alitalia. Il sindacato così a poche ore dalla firma con gli arabi ha fatto marcia indietro, motivando la decisione di accettare le intese con un’affermazione incredibile: “I nodi ostativi sia sul piano contrattuale che sulla riduzione del costo del lavoro” sono stati risolti. Come se le condizioni accettate da Cisl e in parte Cgil fossero mutate nella notte.
Fiumicino resta nel caos
Che tra i lavoratori resti il malcontento è però palese. da giorni i lavoratori della compagnia paralizzano la movimentazione dei bagagli a Fiumicino e molti avrebbero presentato certificati di malattia per giustificare un’assenza che ha il sapore di uno sciopero bianco. La storia di Alitalia però da adesso prende tutta un’altra piega. Si volta pagina dopo il fallimento dei Capitani coraggiosi chiamati nel 2008 da Silvio Berlusconi, dopo che il Governo dell’epoca e i sindacati avevano fatto scappare Air France-Klm, per garantire all’Italia una compagnia attenta al mercato domestico. Il fallimento pilotato di Alitalia lasciò comunque sulle spalle della collettività più di 3 miliardi di oneri. Adesso anche la Cai dei soci privati, guidati da Roberto Colaninno e Intesa Sanpaolo, è arrivata al capolinea, con oltre 1,5 miliardi di perdite accumulate fino al 2013. E a conti fatti la Cai ha bruciato in media più di 25 milioni al mese. Senza l’intervento delle Poste in dicembre e senza l’ultimo nuovo aumento di capitale la compagnia sarebbe saltata. Oggi invece si può immaginare un futuro, con un ritorno all’utile nel 2017. Sempre che tutto fili liscio. Sul closing pesa appunto il via libera delle autorità europee, dove stanno remando contro alcuni vettori concorrenti. Anche per l’intervento di Poste, considerato un aiuto di Stato.